Fin dalla mattina un rombo e una sirena hanno coperto ogni altro rumore nella centrale Piazza del Mercato di Leopoli. No, non si tratta di bombardamenti, ma del camion con il braccio elevatore che ha portato per tutto il giorno su è giù un gruppo di operai intenti a coprire le vetrate della cattedrale con delle lastre di metallo.

Le statue sono già state tutte coperte e «messe in sicurezza» con strati di polistirolo e picchetti di legno, alcune sono state rimosse, come il grande crocifisso di legno che troneggiava sopra l’altare fino a ieri.

Il video del trasporto ha fatto il giro del mondo accompagnato spesso dal commento «come nella II Guerra Mondiale». E, difatti, nell’Ucraina di oggi sono in molti a essere convinti che la minaccia di Putin sia equiparabile a quella di Hitler di ottanta anni fa.

POCO DISTANTE, nella biblioteca municipale, un gruppo di volontari lavora incessantemente per la costruzione di reti mimetiche per le postazioni di tiro dei mitragliatori o dei cecchini e per gli accampamenti. Dopo aver controllato i documenti e aver perquisito tasche e zaini, Roman ci accompagna all’interno.

Roman è al primo anno di università, si era trasferito a Kiev all’inizio del semestre ma già da prima dello scoppio della guerra era tornato a Leopoli perché la madre «non la vedeva bene».

«E ci aveva visto lungo», aggiunge con un sorrisetto un po’ imbarazzato mentre saluta gli altri volontari, come se quella frase svilisse un po’ il suo impegno di volontario di guerra. Come se lo facesse apparire un ragazzino, che in realtà, è proprio ciò che è.

NELLE SALE DEL PIANO TERRA, circondati da libri di ogni foggia e colore fino al soffitto, decine di persone tagliano verticalmente panni, vestiti, stracci, teli e ogni tipo di stoffa che estraggono da sacchi verdi militari. Ne fanno delle bende lunghe più o meno un metro e poi le tagliano nuovamente in brandelli più corti.

Al piano di sopra, dove le sale sono più grandi, sono stati montati due grandi telai di alluminio a forma di rettangolo e, mentre c’è chi intreccia corde di nylon verdi per formare una rete, c’è chi prende i brandelli e li lega a ogni nodo della rete. In questo modo completamente artigianale si fabbrica una copertura mimetica qui a Leopoli in tempo di guerra. «Oggi stiamo facendo quelle per i boschi» spiega Roman, «ieri avevamo stoffa bianca e quindi facevamo quelle per la neve».

HANNO TUTTI FACCE stanche ma, stranamente, piuttosto amichevoli. Non è così qualche chilometro fuori città, nei boschi dove circa 150 volontari civili si stanno addestrando da qualche tempo per prepararsi a rispondere a un eventuale attacco russo in questa zona.

Molti di quelli che avevano deciso di entrare nei «battaglioni di difesa territoriale» già prima della guerra, infatti, sono partiti verso i fronti attivi, nella maggioranza dei casi verso Kiev. Gli altri, ora che i carrarmati russi si avvicinano alle porte della capitale da ovest, hanno intensificato la preparazione per dare manforte ai reggimenti regolari di stanza nell’oblast di Leopoli.

GENERALMENTE questi miliziani, se così possiamo definirli, si occupano di fare la guardia nei posti di blocco, di controllare le strade o di fare la sicurezza all’ingresso dei centri dei volontari civili o dei rifugiati.

La composizione di questi gruppi è varia ma, generalmente, si passa dai giovanissimi poco più che maggiorenni che non si sono arruolati nelle truppe regolari agli uomini di mezza età, la fascia tra i trenta e i quarant’anni è quella dei riservisti, dei militari di professione o di chi al momento non ha ancora deciso.

Ad ogni modo, la «mobilitazione generale» di cui parlavamo prima della guerra non ha ancora esaurito il suo corso. Anzi, secondo alcuni analisti militari finora il morale delle forze ucraine, nel complesso, è molto più alto di quello dell’esercito nemico. Anche per questo, sempre secondo queste fonti, l’avanzata russa finora non sarebbe riuscita come si presupponeva.

CON UN RAGAZZO di questi gruppi, che preferisce mantenere l’anonimato, abbiamo parlato della vita da volontario. «Spesso ci sono anche adolescenti di 16 o 17 anni che vorrebbero partecipare ai posti di blocco o alle ronde». «E le armi le date anche a loro?» gli abbiamo chiesto, «no, alcuni li cacciano, altri li fanno restare affidandogli compiti più semplici».

«Ma invece le armi a voi chi le dà?» insistiamo, «dipende, alcuni già le avevano, altri le hanno prese dall’esercito, altri ancora aspettano». «Aspettano cosa? Quelle che vengono dall’Europa?», ma su quest’ultima domanda il tono della conversazione è cambiato e il nostro volontario si è limitato a un laconico «non lo so».

Un dato significativo, che anche se dovesse risultare gonfiato è comunque importante, segnala il rientro in patria di 140mila ucraini dall’inizio del conflitto. Ovviamente, molti di questi saranno tornati per imbracciare le armi. Forse ciò dipende anche dai recenti sviluppi militari che, negli ultimi due giorni, fanno registrare un’avanzata delle truppe russe verso la capitale e fanno aumentare la preoccupazione per Odessa.

Sul fronte di Kiev l’avanzata ormai si sta assestando da ovest. Da giorni le zone di Bucha e di Irpin sono teatro di violenti scontri a fuoco e di bombardamenti. A metà giornata erano iniziate a circolare voci di avvistamenti di carrirmati russi nella periferia della città ma qualche ora dopo queste sono state smentite.

A MYKOLAIV, PRIMA DATA per persa, poi per riconquistata e ora di nuovo in bilico, nella notte sono continuati i bombardamenti e al mattino le immagini mostravano diverse immagini e video di abitazioni civili in fiamme. Tuttavia, nel primo pomeriggio, il ministero della difesa ucraino ha annunciato la riconquista dell’aeroporto della città.

Contemporaneamente, a Odessa la preoccupazione sale di ora in ora. Fonti ucraine parlano di un possibile attacco fissato per il giorno di mercoledì, quando le condizioni del mare dovrebbero permettere alle navi da sbarco russe di avvicinarsi alla costa e dare così inizio all’invasione della città.