Dal parlamento alle piazze, un pezzo di società civile è deciso a dare battaglia contro lo smantellamento della legge 185/90, che da trentaquattro anni rappresenta uno strumento per provare a regolare la vendita di armi italiane all’estero. Lo hanno ribadito ieri durante una conferenza stampa alla Camera il portavoce della Rete Italiana Pace e Disarmo Francesco Vignarca, la presidente di Banca Etica Anna Fasano e la deputata del Pd Laura Boldrini: «Si tratta di una resa dalla politica agli interessi dell’industria militare e finanziaria», hanno sottolineato i relatori con riferimento all’iter di modifica in corso.

IL GOVERNO ha infatti presentato un disegno di legge – approvato a gennaio dalla commissione Affari esteri e difesa del Senato e poi passato il 21 febbraio a Palazzo Madama – con cui vengono introdotti tre emendamenti al testo che, secondo le realtà che vi si oppongono, andrebbero a ridurre ulteriormente la trasparenza in ambito di export militare, sottraendolo a meccanismi di dibattito politico.
In particolare, c’è il rischio che vengano eliminate le informazioni riguardanti gli istituti di credito che traggono profitto dal commercio di armamenti.

I cittadini, cioè, non potranno più sapere quali banche sono coinvolte nella vendita di armi, magari verso paesi autoritari e poco rispettosi dei diritti umani. «In nome della competitività, si annulla qualsiasi forma di controllo», ha commentato Fasano. Inoltre, si teme l’eliminazione dell’Ufficio di coordinamento della produzione di materiali di armamento presso la Presidenza del Consiglio, unico organo in grado di avanzare pareri, informazioni e proposte per la riconversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa. «Queste modifiche slegano sempre di più l’industria da una politica estera che dovrebbe essere basata sulla pace», ha affermato Boldrini lamentando il fatto che oramai si parla di guerra come di una possibilità concreta. Infine, esiste la possibilità che venga cancellata la prescrizione per cui il Cisd (Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa) ha facoltà di ricevere informazioni sul rispetto dei diritti umani da parte dei paesi eventualmente destinatari dell’export italiano anche da enti internazionali e associazioni non governative.

«In pratica il governo si appoggerebbe solo alle proprie ambasciate, sottovalutando così la capacità di altri soggetti di stare magari maggiormente sul campo», ha spiegato Vignarca, ricordando come peraltro questa è solo un’opzione e non un obbligo in mano al Cisd.

Il tutto mentre sono state rigettate le proposte di emendamento avanzate dalle minoranze parlamentari e anche dalla relatrice di maggioranza Stefania Craxi, che recepivano invece le indicazioni della Rete.

Agosto 2014, vignetta di Mauro Biani per il manifesto

«È IN ATTO DA TEMPO una pressione da parte dell’apparato industriale e finanziario legato agli armamenti per eliminare i pochi vincoli introdotti dalla 185», hanno puntualizzato i relatori. «Con questa legge, l’Italia era un’avanguardia a livello internazionale e ora rischia di diventare un fanalino di coda in termini di trasparenza».

Lo si vede anche osservando cosa succede in relazione a due dei maggiori teatri di conflitto del momento: le vendite di armi (e non le «cessioni» sotto il ministero della Difesa) all’Ucraina sono passate da 3,8 a 417 milioni l’anno scorso senza alcuna relazione parlamentare; similmente, nonostante le rassicurazioni del ministro degli esteri Tajani su un blocco totale dell’export nei confronti di Israele dopo il 7 ottobre, i recenti dati Istat hanno mostrato come questo si riferisse invece solo alle nuove licenze e non al flusso generale di armi, che invece è continuato per un valore di oltre 817mila euro.

La discussione sugli emendamenti proseguirà alla Camera, mentre la Rete chiama a una manifestazione pubblica di protesta per il 17 aprile presso la sede di Libera a Roma.