I vent’anni nell’Ue dei paesi di Visegrád
Visegrad e oltre La rubrica settimanale sui sovranisimi dell'est Europa. A cura di Massimo Congiu
Visegrad e oltre La rubrica settimanale sui sovranisimi dell'est Europa. A cura di Massimo Congiu
Il primo maggio scorso sono passati esattamente vent’anni dall’allargamento dell’Ue verso i paesi del centro-est. Fu in quell’occasione che entrarono a far parte dell’Unione ben dieci paesi in quella che viene ricordata come la fase di espansione dell’Ue più grande della storia. Divennero stati membri l’Ungheria, la Slovacchia, la Repubblica Ceca, la Polonia, l’Estonia, la Lituania, la Lettonia, la Slovenia, Cipro e Malta.
Tutto questo al termine di un lungo periodo di osservazione dei medesimi da parte dell’Unione europea per constatare che gli aspiranti nuovi “stellati” rispettassero a dovere standard di economia di mercato e di democrazia. I due aspetti, purtroppo, si fusero fino a far identificare i concetti di libertà e democrazia con l’adesione ai criteri di mercato il quale, comunque, non è un principio di equità e di democrazia. Ma tant’è.
Già all’indomani della svolta politica del 1989 i paesi del fu socialismo realizzato si impegnarono a voltar pagina e ad adottare le nuove ricette per avvicinarsi ai livelli di vita dei paesi occidentali. Qua e là, in quella parte d’Europa a lungo nascosta e segreta, le popolazioni espressero aspettative sul piano del miglioramento delle condizioni economiche e di benessere diffuso, ma il prezzo del cambiamento fu più caro del previsto. Esso si manifestò in termini di licenziamenti e di aumento traumatico della disoccupazione, cosa alla quale le società di quei paesi non erano abituate. Così chiusero fabbriche e aziende non in linea con i nuovi criteri economico-produttivi, in molti casi le comunità Rom furono tra quelle che subirono in modo particolarmente traumatico i mutamenti in questione e che andarono incontro a situazioni di emarginazione a scuola, nel lavoro, nella vita di tutti i giorni sulla base di pregiudizi che i regimi avevano represso e non aiutato a superare dando luogo a processi veri e propri di elaborazione sociale collettiva.
Gli anni ’90 per questi paesi sono stati un periodo vissuto all’insegna di queste dinamiche, di processi di privatizzazione e di adeguamento a nuovi standard economici basati su aspetti di mercato e quindi non solidali. Gli ultimi dossier della Commissione europea sugli aspiranti membri parlavano di piena realizzazione di standard democratici e di economia di mercato auspicati da Bruxelles. A giudicare dalla situazione attuale in termini di rapporto fra tali paesi e gli stati membri di vecchia data e, soprattutto tra i primi e i vertici Ue, viene da pensare che all’epoca siano stati sottovalutati aspetti relativi al vissuto storico di questi paesi e a un conseguente sentire comune, diffuso tra le loro popolazioni. È importante considerare, da questo punto di vista, il sentore, appunto diffuso una ventina d’anni fa tra le popolazioni in questione, che era quello di entrare a far parte dell’Ue come stati di seconda categoria, considerati tali, più precisamente, dai membri fondatori e di vecchia data. Probabilmente questa sensazione era un po’ più estranea ai meno giovani o per lo meno a molti di essi che però, in molti casi, vedevano nell’adesione all’Ue solo un modo per andare più facilmente a studiare negli altri paesi dell’Ue o a farvi esperienze di lavoro post-laurea. In generale, comunque, i governi di allora, quelli ungheresi, slovacchi, cechi e via dicendo, non aiutarono un granché le loro popolazioni a comprendere esattamente il senso del progetto politico legato all’adesione all’Ue che rimase legata a fattori esclusivamente economici e di innalzamento del livello di vita, di realizzazione di migliori condizioni di vita.
Questo non significa che manchi da quelle parti un ideale europeo che, per i contrari a Orbán, al PiS polacco e a tutte le forme di nazionalismo espresse all’interno del Gruppo di Visegrád, è sinonimo di democrazia, rispetto dello Stato di diritto e apertura. Anche in questo, però, vanno considerate le numerose contraddizioni esistenti all’interno dell’Ue e alle gravi difficoltà a trovare indirizzi comuni in termini di politica estera e non solo. Inoltre non sono mancate le critiche interne all’Ue a fronte delle troppe esitazioni da parte della Commissione a prendere provvedimenti nei confronti di governi come quello ungherese che pure viene accusato di violare in modi diversi lo Stato di diritto.
Tutto questo e anche altro a vent’anni da quella fase storica di allargamento dell’Ue verso il centro-est del continente. Ci siamo arrivati stancamente.
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