Ai piani alti del Pd numerosi dirigenti hanno iniziato a pressare Elly Schlein: «Devi decidere se candidarti alle europee». Il motivo è semplice: il rebus sulla decisione della segretaria sta bloccando i lavori sulle candidature. Certo, il voto è a giugno, ma tra i big del partito c’è una certa ansia di capire almeno «lo schema» con cui saranno costruite le liste. E i possibili capilista nel caso di un rifiuto da parte di Schlein. Da qui seguiranno tutti gli altri ragionamenti, in un clima che non è molto sereno, soprattutto tra gli uscenti, molti dei quali rischiano di tornare a casa.

SCHLEIN È FORTEMENTE tentata dalla candidatura in tutte e 5 le circoscrizioni: le campagne elettorali le sa fare, come ha dimostrato con le primarie dello scorso febbraio. In questi mesi ha stabilito un buon grado di empatia col popolo Pd, piazza del Popolo a novembre lo ha confermato. Per lei prendere oltre un milione di preferenze sarebbe un modo per blindarsi anche in caso di un risultato del partito sotto la soglia psicologica del 20%. E poi ha un problema: nessuno tra i suoi fedelissimi ha la popolarità necessaria per fare il pieno di preferenze, e il rischio è che la gran parte dei voti vada a nomi della minoranza, soprattutto i sindaci che sono pronti a partire per Bruxelles: Dario Nardella, Antonio Decaro, Matteo Ricci Giorgio Gori.

TRA GLI USCENTI, nel 2019 avevano ottenuto buone performance Irene Tinagli, Pina Picierno, Elisabetta Gualmini: tutti nomi che arrivano dal renzismo e che ora stanno con Bonaccini. Non ci sono schleiniani così radicati nel partito o dotati di un forte consenso personale. Tra gli europarlamentari solo Camilla Laureti è vicina alla segretaria, come il medico Pietro Bartolo che sicuramente sarà ricandidato nelle isole. Massimiliano Smeriglio appare molto tentato dalla lista rossoverde, mentre Giuliano Pisapia ha deciso di tornare a Milano.

L’IDEA DI SCHIERARE GRANDI nomi della cultura non è stata accantonata, ma non è così semplice: Roberto Saviano ha già detto che non ha alcuna intenzione di andare a Bruxelles, la collega Chiara Valerio invece ci sta pensando, così come Maurizio De Giovanni: entrambi erano sul palco di piazza del Popolo a novembre. C’era anche il giornalista Paolo Berizzi, ma in quota Repubblica- Stampa sta crescendo l’ipotesi di candidare Massimo Giannini, fresco di uscita dalla direzione della Stampa.

Nel complesso la squadra non appare abbastanza competitiva, soprattutto se dovessero conte Conte o Giorgia Meloni. La scelta di Schlein dipenderà molto anche da quelle dell’avversaria numero uno e del principale rivale nell’area progressista. Se loro si candideranno, lo darà anche lei. Conte punta dritto al sorpasso sul PD, o almeno ad avvicinarsi il più possibile, per negoziare da pari a apri la futura coalizione e non da «ruota di scorta». Si è visto anche sul salario minimo in Parlamento: l’avvocato non ci sta a fare il numero due.

MA CI SONO ANCHE MOLTI problemi nella candidatura. Primo: chi se ne intende di meccanismi elettorali giura che Schlein «cannibalizzerebbe tutte le altre donne del Pd». Nel senso che i big maschi farebbero tutti ticket con lei, e per le altre donne resterebbero le briciole. È vero che si possono esprimere fino a tre preferenze, «ma non lo fa quasi nessuno». Oggi le donne del gruppo dem sono 8 su 17. Potrebbe Elly permettersi una delegazione con meno donne?

E poi la sua corsa finirebbe per azzoppare quella dei suoi fedelissimi che sono fuori dal Parlamento, da Sandro Ruotolo a Marta Bonafoni. Inoltte, e non un dettaglio, tra i dem c’è una certa ostilità verso un meccanismo eccessivamente «plebiscitario»: «Neppure Renzi all’apice del successo fece il capolista in tutte le circoscrizioni», sussurrano.

C’È ANCHE IL TEMA DI COSA fare una volta eletta: difficilmente la segretaria potrebbe trasferirsi in Europa, lasciando a Conte il ruolo di unico leader di opposizione in Parlamento. E poi gestire un partito «da pendolare» non è uno scherzo. E Schlein è una persona che non potrebbe (ri)fare il mestiere di eurodeputata senza impegnarsi a fondo sui dossier. Come del resto è richiesto dalle regole europee. E farsi eleggere per poi rinunciare non è una scelta molto popolare. A domanda, lei mette sempre le mani avanti: Ne parleremo più a ridosso del voto».

Il 15 e 16 dicembre a Rom a ha organizzato una kermesse sull’Europa con Prodi, Letta e Gentiloni: «Dobbiamo parlare dei nostri programmi, della nostra visione», l’ordine di scuderia. Però i tempi stringono, e il Pd è una creatura complicata. Ci sono tanti appetiti da soddisfare. Per questo Schlein ci pensa e ci ripensa, indecisa sul che fare. Alla fine, il nodo potrebbero scioglierlo Conte e Meloni. La sfida diretta con loro sarebbe una spinta irresistibile.