Il processo a Ilaria Salis, alla sua prima vera udienza, è già appeso a un solo elemento: la perizia antropometrica sulle riprese delle telecamere di sorveglianza che hanno registrato l’aggressione a Zoltan Toth, avvenuta nella tarda mattinata di domenica 10 febbraio 2023. La relazione tecnica è già agli atti e dà come “probabile”, non certa, la corrispondenza tra una delle persone filmate e la 39enne italiana da 15 mesi prigioniera a Budapest. Per il resto l’accusa non ha molto. Anzi non ha niente: nessuno dei tre testimoni ascoltati ieri in aula, tra cui lo stesso Toth, infatti, ha riconosciuto Salis. Già solo sulla base di questi elementi ci sarebbe di che questionare sulla prolungata misura cautelare che solo la settimana scorsa è diventata arresto domiciliare. Il resto della conduzione del processo, poi, evidenzia una serie di criticità che hanno mandato su tutte le furie gli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini. Il processo penale ungherese è una versione estrema del vecchio rito inquisitorio in vigore anche in Italia fino alla fine degli anni ’80: il giudice ha già a disposizione tutti gli atti prodotti dalla procura, ne dispone a sua discrezione e decide in maniera pressoché insindacabile su ogni particolare. Da qui emerge qualche contraddizione di troppo. La prima: la legge ungherese prevede che la sola candidatura garantisca l’immunità all’imputato. Il giudice József Soós, in apertura d’udienza, ha detto di aver chiesto a non meglio precisati “esperti europei” come funzioni la faccenda nel caso di Salis, candidata sì ma in un altro paese. Non ha ricevuto risposta e, malgrado questo, ha respinto la proposta della difesa di Salis di aggiornare l’udienza.

Altro problema di non poco conto riguarda la traduzione degli atti. La Corte d’appello di Budapest ha disposto la resa integrale in lingua italiana di tutta la documentazione prodotta per il processo. Ma il lavoro non sarà terminato prima di novembre. Nonostante Ilaria Salis non abbia potuto avere pieno accesso ai documenti giudiziari che la riguardano, il giudice Soós ha deciso di far finta di niente, perché “comunque c’è una traduttrice in aula”. Il problema è però diverso, spiega l’avvocato Matteo Zamboni, consulente di Losco e Straini: “Viene confuso il diritto all’interpretazione con quello alla traduzione”. Gli avvocati italiani, di fatto, non sono a conoscenza della versione raccontata dai testimoni prima del loro ingresso in aula e non hanno potuto contribuire in alcun modo alla preparazione dei controinterrogatori. Dagli stessi testimoni, comunque, è venuta fuori una forte contraddizione delle indagini: secondo la procura, riprendendo alla lettera i risultati delle indagini condotte in Germania sugli antifa locali, il gruppo di aggressori presente a Budapest nel febbraio del 2023 avrebbe agito in maniera coordinata, dandosi anche dei comandi vocali (“Go go!” e “Stop”), ma le due testimoni in un primo momento non hanno detto di aver sentito niente del genere, aggiungendo il dettaglio solo dopo aver assistito alla prima parte del dibattimento, dopo che la procura ne aveva fatto cenno.

La posizione di Toth è un altro punto controverso. L’aggredito aveva deciso di non denunciare quanto gli era accaduto, ma, sempre ieri, ha cambiato idea e ha chiesto di costituirsi parte civile, con tanto di risarcimento da 10 milioni di fiorini (26.000 euro). Il problema è che i termini per avanzare questa pretesa sarebbero scaduti lo scorso gennaio, quando c’è stata l’udienza predibattimentale. Infine, durante la sua testimonianza, è emersa l’esistenza di nuove lesioni in aggiunta a quelle già refertate e finite agli atti (8 giorni di prognosi). Si parla dunque di tre costole rotte, uscite fuori dopo una visita medica effettuata a maggio del 2023, tre mesi dopo l’aggressione. Toth – che stando ai video mostrati in aula dopo essere stato pestato si è immediatamente alzato in piedi – non ha voluto rivelare né l’ospedale dove sono stati fatti questi accertamenti né il nome del medico che ha certificato la rottura delle costole. La procura, in tutto questo, ha chiesto un aggiornamento della perizia, elemento decisivo per poter sostenere l’accusa di “lesioni potenzialmente mortali” contro Ilaria Salis.