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I soldi rubati da Ben Ali? Potrebbero tornare al clan

I soldi rubati da Ben Ali? Potrebbero tornare al clan19 gennaio 2021, la protesta notturna a Ibn Khaldoun City, vicino Tunisi – Ap

Tunisia L'ultimo smacco: mentre il paese è di nuovo attraversato dalle proteste, scade il blocco sui fondi congelati in Svizzera dell'ex dittatore, 60 milioni di dollari, meno di un quinto di quanto avrebbe accumulato in anni di regime. Il governo rassicura: sono ancora bloccati

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 22 gennaio 2021

I giorni del decimo anniversario della Rivoluzione della dignità e della libertà in Tunisia sono stati attraversati da numerose proteste notturne contro la crisi economica e sociale che da anni affligge il paese. Le mobilitazioni vanno avanti dal 15 gennaio scorso e non sono state fermate dal lockdown nazionale di quattro giorni imposto dal governo tunisino per le ragioni legate all’emergenza di Covid-19.

A OGGI LE FORZE di sicurezza hanno arrestato più di mille persone, tra cui molti minori. Arresti che diverse organizzazioni della società civile definiscono arbitrari e che avvengono, in molti casi, fuori dai momenti protestatari. «Dalle prime testimonianze che abbiamo ricevuto notiamo una rapidità sospetta nei processi per direttissima – racconta Antonio Manganella, direttore regionale di Avocats sans frontières per il Mediterraneo –

Nella regione di Ben Arous ci sono stati 110 casi elaborati in quattro ore, questo vuol dire che non c’è un processo di individualizzazione di chi viene arrestato. Le pene possono arrivare fino a due anni e per questioni sanitarie ci raccontano che i procuratori non stanno vedendo gli incolpati».

Negli stessi giorni in cui le strade della Tunisia si sono riempite di giovani, un’altra notizia è passata in secondo piano: i beni sequestrati in Svizzera alla famiglia dell’ex presidente Zine El-Abidine Ben Ali, il cui blocco amministrativo è scaduto martedì scorso. Un ritardo che anche in questo caso riporta a un anniversario. Il 19 gennaio 2011 infatti il Consiglio federale svizzero, cinque giorni dopo la fuga di Ben Ali in Arabia saudita, ordinò il congelamento dei beni della famiglia dell’ex presidente.

AL MOMENTO il contenzioso tra Tunisia e Svizzera riguarda 60 milioni di euro, per lo più legati alla famiglia Trabelsi di cui fa parte la moglie di Ben Ali, Leila. Questi fondi potrebbero essere rivendicati dal clan che per più di 20 anni ha dominato la scena politica ed economica del paese.

Tuttavia, nonostante il blocco amministrativo scaduto, è ancora in vigore un blocco giudiziario che riguarda le corti di Berna e Tunisi. Ali Abbes, l’incaricato del contenzioso della parte tunisina, è intervenuto a Radio Shems FM per chiarire la situazione: «I fondi congelati in Svizzera sono sempre bloccati, fino alla pubblicazione di una giurisdizione penale che prevede la confisca come pena aggiuntiva. Al momento siamo riusciti a convincere le autorità svizzere che la condanna in contumacia rispetta le procedure del giusto processo».

SESSANTA MILIONI sono solo una piccola parte dei beni che sono transitati in Svizzera negli anni di Ben Ali. Secondo l’ong Public Eye, dagli anni 2000 siamo sull’ordine dei 320 milioni di dollari. In generale, la Banca mondiale ha stimato che ammontano a 50 miliardi di dollari i beni posseduti dai Ben Ali e i Trabelsi negli anni al potere sotto forma di real estate, banche e conti segreti in Svizzera, Francia, Canada, Qatar, Emirati arabi, Libano e America latina.

Quattro volte il Pil della Tunisia stimato nel 2018. Una cifra enorme che testimonia l’apparato corruttivo di 23 anni di autoritarismo in Tunisia, terminato sotto i colpi delle proteste popolari del 2011. La corruzione rimane ancora oggi uno dei capitoli più fragili per Tunisi. Il cambiamento istituzionale post rivoluzionario non ha portato a un cambiamento finanziario e di politiche economiche.

Le rivendicazioni di piazza di queste settimane hanno riguardato soprattutto la classe politica, incapace di dare risposte alla crisi economica e sociale. Oggi queste stesse rivendicazioni riguardano anche l’incapacità o l’indifferenza del governo a mettere mano su delle questioni che riguardano il vecchio regime.

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