Visioni

I rivoluzionari di Wolfgang Huber

I rivoluzionari di Wolfgang Huber

Berlinale 68 In «SPK Komplex» di Gerd Kroske, presentato al Forum, il processo contro un teorico dell’antipsichiatria e alcuni membri del collettivo socialista in Germania nel 1970. Accusati di sostenere la Raf vennero condannati poi a pene durissime

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 17 febbraio 2018

Al tappeto rosso pieno di star capita (sempre più spesso) di sacrificare i film. Politica mediatica dei direttori di festival che sembrano avere siglato un accordo. E così la Berlinale per il primo fine settimana, la data che è sempre centrale, esibisce la coppia Robert Pattison e Mia Wasikowska a costo di mettere in gara Damsel, lo pseudo-western demenziale dei fratelli David e Nathan Zellner che coi Coen non c’entrano nulla (un po’ vorrebbero in effetti) anche se riempiono questa loro rivisitazione del paesaggio americano di tipologie bizzarre, amanti molesti, cavallini nani, fanciulle col fucile, preti truffatori, cow-boy rudi e sporchi che bevono whisky – e chi non lo beve è una femminuccia – e crepano perché come ogni bravo macho fanno la pipì all’aperto marcando il territorio. Guai a distrarsi nel selvaggio West… Ma la Berlinale è grande, la cosa bella di questo festival è proprio la sua trasversalità, offerta multipla, si entra si esce si passa da una cosa all’altra e tutto è possibile grazie al numero enorme di sale e a un programma pensato per essere fruito da pubblici diversi.

Spk era la sigla che stava per il collettivo socialista dei pazienti, il cui ispiratore, Wolfgang Huber, praticava i metodi dell’antipsichiatria individuando nel malato mentale un «potenziale rivoluzionario», dunque che l’unica cura possibile era la «liberazione dei corpi dalla società patriarcale». Huber lavora all’università di Heidelberg, siamo nella Germania del 1970, i suoi metodi sono visti con più di un sospetto ma il gruppo continua a crescere e e attira l’attenzione dei media e della polizia che apre un’inchiesta accusando Huber e una decina di altri dell’Spk, una sorta di «circolo segreto» di sostenere la Raf. Le prove, sono armi e documenti falsi scoperti in una perquisizione – ma sappiamo che creare prove ad hoc è semplicissimo – Huber che era già stato sospeso dalla facoltà perché giudicato non idoneo a terapia e a insegnamento, viene arrestato insieme alla moglie e ad altre persone, non hanno avvocati difensori, si oppongono al processo, le pene saranno durissime (4 anni e mezzo tra isolamento e carceri speciali) visto il capo di imputazione, una generica accusa di «partecipazione a un’associazione criminale».

SPK Komplex, è il film di Gerd Kroske (nella selezione del Forum) e il titolo non è casuale: perché quanto cresce intorno all’Spk è un vero e proprio «complesso» che anticipa modi e procedimenti della Germania in autunno, sia nel processo che nelle accuse e nella campagna mediatica lanciata contro Huber (di cui oggi non si sa più nulla) e gli altri del gruppo, con prove esibite (verrebbe da dire costruite) per provarne la colpevolezza .

Alcuni passati per l’esperienza della Spk entrarono poi in clandestinità e nella Raf, come Carmen Roll, poi arrestata e emigrata in Italia, a Trieste, dove lavorerà con Basaglia. Altri come Lutz Taufer hanno partecipato a azioni armate, nel suo caso l’attacco all’ambasciata tedesca a Stoccolma, per cui è stato condannato all’ergastolo (ci furono due vittime), rilasciato nel 1995.

Krosk va a cercare i diversi protagonisti della storia, non solo gli accusati dell’Spk ma anche il giudice del processo, che oggi rifarebbe tutto allo stesso modo, chi come uno di loro ne è uscito e ha poi «collaborato» con la polizia divenendo il testimone chiave (undici persone sono finite in carcere a causa sua).

Le voci sono discordi: esisteva davvero un piccolo gruppo segreto nella Spk che pianificava attentati? O era solo una visione politicamente stridente a dare fastidio, una pratica che senza armi ma con la terapia e la discussioni collettive smascherava la società dell’epoca, il suo autoritarismo e quel rapporto irrisolto col passato, il nazismo? «La Raf non sarebbe mai esistita se non avessimo vissuto in una società post-fascista» dice uno degli intervistati, e non è casuale che l’esperienza della lotta armata sia forte proprio nei paesi usciti dal fascismo, Germania, Italia, Giappone tra quella generazione cresciuta dopo la guerra…
Krosk torna su un’epoca che il cinema tedesco è tornato molte volte, come il passato nazista e la società postbellica da cui ha preso origine quel «nuovo cinema tedesco» che voleva illuminare le contraddizioni e soprattutto le rimozioni aiutate da poteri forti e accordi internazionali rispetto al nazismo.

Ma un cinema è vitale anche per questa capacità di guardare nei risvolti sensibili del passato e seguendo una prospettiva non lineare, cosa che manca completamente nel nostro immaginario da cui sono stati rimossi colonialismo e ciò che viene definito un «tabù», quegli anni Settanta racchiusi, per lo più, sotto al segno del terrorismo tutti rivisti nell’ottica attuale. La repressione del governo tedesco contro la Spk, perfezionata poi con la Raf e i suicidi in cella, sembra speculare a quanto Huber contestava nella sua teoria di cura psichiatrica: i nuovi carceri isolano, impediscono la comunicazione, fondono i cervelli più di molti elettroshock, rendono folli o senza lucidità. «Il modo in cui ci si prende cura della malattia mentale indica che tipo di società si vuole essere» dice Roll che continua a lavorare nell’associazionismo con i migranti, citando Basaglia i cui obiettivi erano molto diversi da quelli di Huber che non prevedeva cure né luoghi di cura.

E dunque mettere a tacere Huber e il suo gruppo era un modo per testare il controllo sociale, i suoi strumenti e le sue pratiche? Krosk basa la sua narrazione, fatta di interviste oggi coi protagonisti di allora, tutte dolorose e piene di fatica, materiali del passato, registrazioni della voce di Huber, pagine dell’inchiesta e resoconti del processo, proprio su questa specularità che sottolinea appunto il progetto di un controllo sociale al di là (e al di qua) della lotta armata.

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