«Leader dell’alleanza dei rider». È il nome altisonante di un account social gestito da Chen Guojiang, fattorino per il colosso del food delivery cinese Ele.me. Con indosso la divisa da lavoro, si riprende mentre cammina per le strade di Pechino e intervista i gruppi di altri rider appollaiati sui motorini con cui consegnano i pasti.

TUTTO CIÒ CHE PUBBLICA sull’account Weibo, una sorta di Twitter cinese, affronta in maniera diretta i problemi endemici del settore. Chen non perde occasione di denunciare a gran voce lo sfruttamento sistematico dei rider in nome del profitto e, soprattutto, l’incapacità del sindacato di negoziare con le piattaforme. Un video di settembre, in cui critica come mera trovata pubblicitaria la nuova funzione dell’app Ele.me con cui il cliente può allungare i tempi di consegna, ha raggiunto il milione di visualizzazioni. Secondo molti, la sua pagina è l’unica roccaforte civile di contestazione all’immenso potere dell’industria e pare abbia anche fornito consulenza legale.

Nella mega-app cinese Wechat, fino al mese scorso «il leader» contava sedici gruppi, per un totale di 14.000 iscritti. È in una di queste chat che il 24 febbraio avrebbe scritto che si sentiva in pericolo, facendo supporre che avesse ricevuto delle avvertenze. Il giorno seguente è stato arrestato. Il 15 marzo, il padre ha diffuso su Wechat una lettera aperta dove dichiarava di non aver ricevuto la notifica di arresto prevista dalla legge cinese entro le 24 ore successive.

Rider cinesi con i loro kit di sicurezza. @Ap

INOLTRE, PROMUOVEVA una raccolta fondi per coprire i 50mila yuan di spese legali (6.500 euro), somma enorme per una famiglia di contadini. Seppur censurato dopo meno di un’ora, il messaggio è stato diffuso da varie organizzazioni civili e ha permesso alla famiglia di raccogliere più del doppio della cifra in meno di 24 ore. Qualche giorno dopo è stato comunicato alla famiglia che Chen è tuttora nel centro detentivo di Chaoyang, nella capitale, accusato di «aver provocato litigi e creato problemi».

IL FERMO DI CHEN Guojiang rientra nell’atteggiamento repressivo che Pechino riserva alle istanze di mobilitazione civile in ambito lavorativo. Ma la notizia si è diffusa con rapidità nel paese e sui social, non solo cinesi, si continua a invocare il rilascio del «leader». Pare addirittura che si siano registrate sospensioni delle consegne a Pechino, Shenzhen e in altre città legate a uno sciopero di massa dei rider.

A MARZO SI SONO REGISTRATI tre «incidenti collettivi»: il 1° marzo, i fattorini di Meituan hanno scioperato contro la riduzione del salario in almeno due città – Shenzhen e Tongxiang nello Zhejiang. Il giorno seguente, nella provincia dello Shandong è stato registrato un altro caso di mobilitazione per le medesime motivazioni. Le proteste sono rilevanti per due ragioni: in primo luogo, giungono a poche ore l’una dall’altra dopo l’inattività dello scorso anno, in cui la crisi pandemica ha costretto molti a scegliere questo tipo di occupazione; in secondo luogo, evidenziano che la questione salariale è la principale fonte di scontento.

Sul salario pesa un meccanismo punitivo comune in Cina, soprattutto nel settore degli operatori ecologici. In caso di inadempienze, ai lavoratori vengono detratti punti che equivalgono a multe monetarie: buttare la sigaretta a terra, ad esempio, comporta una sanzione di 400 yuan, un sesto dello stipendio mensile.
Il sistema delle penalità sembra sostituire qualsiasi pratica di gestione del personale e assicura livelli alti di produttività. Ma le multe raggiungono spesso somme esorbitanti, anche perché l’algoritmo che regola le tempistiche di consegna non perdona i ritardi e continua a segnare il tempo che scorre anche in caso di incidenti gravi.