Tra il 1970 e il 2021 i fenomeni meteorologici, climatici e idrici estremi hanno provocato 12.000 disastri, con 4,3 miliardi di dollari di perdite economiche dichiarate, e con oltre 2 milioni di morti: il 90% nei Paesi in via di sviluppo. Questi dati della Wmo ( World Meteorological Organization). Milioni di persone sono costrette, infatti, a fuggire a causa della crisi climatica. E per loro, per i profughi climatici, non sembrano esserci diritti. Una questione che non potrà essere ignorata nella Giornata mondiale del rifugiato che si celebra il 20 giugno. «Entro fine secolo, due miliardi di persone – di cui 600 milioni in India, 300 milioni in Nigeria e 100 milioni in Indonesia – vivrà in luoghi con temperature in crescita di +2,7°C, oltre la soglia di calore pericoloso, fissato a 29° medi annui. Lo rivelano numerosi studi.

L’obiettivo di rispettare il limite di 1,5° fissato a Parigi è forse irraggiungibile. E gli effetti negativi colpiranno le persone che vivono nei Paesi meno responsabili in termini di emissioni pro capite, nei territori in cui le emissioni sono meno della metà di quelle globali» – spiega Ivana Borsotto, presidente Focsiv (Federazione degli organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana). «Se limitassimo a +2° il riscaldamento globale, si potrebbero salvare 980 milioni di persone dallo stress termico. Ma non solo il clima, anche le guerre, le discriminazioni, le carestie, la fame, la ricerca di libertà provocano l’aumento di sfollati, profughi e migranti. Mettiamoci nei panni di chi fugge dall’Afghanistan, di chi attraversa il Sahara o il Mediterraneo con i barchini, di chi si trova dietro i fili spinati della rotta balcanica, nei Lager della Libia, nei tanti campi profughi di tanti, troppi Paesi e nei nostri incivili Cpr».

Ivana Borsotto, l’accoglienza di chi fugge a causa delle crisi climatiche è una questione sopratutto etica?

Ci affidiamo spesso a distinzioni e casistiche soltanto per giustificare l’assenza di pietà e di giustizia sociale, come meschini burocrati della sofferenza. È giunto il momento di assicurare a tutti il diritto di muoversi, e a chi vuole restare il diritto di vivere a casa propria. Ma per evitare di alimentare sfiducia, risentimento, ostilità e conflitti, occorre moltiplicare di almeno quattro volte gli investimenti globali per lo sviluppo. Bisogna cambiare paradigma, perché viviamo in un mondo dove le forze del mercato si propongono come soluzione ai problemi che lo stesso mercato ha determinato, dove le democrazie sono fragili a causa delle disuguaglianze. Al contempo sono necessarie risorse economiche per l’accoglienza e l’integrazione di tutti i migranti, profughi e sfollati, di cui abbiamo bisogno. Ci aiutano a casa nostra e chiedono condizioni di vita dignitose.
Ci sono delle chiare relazioni fra crisi energetica, accesso al cibo e guerra. E ciò che sta accadendo in Ucraina è soltanto un esempio…
Sì, la guerra mondiale a pezzi lo dimostra: siamo in presenza di un effetto a valanga in cui diventano armi il grano, le medicine, l’energia, l’informazione. In questo modo aumentano le guerre, si fomentano gli scontri culturali e religiosi. Assistiamo, poi, a uno scambio di accuse sulle responsabilità per i danni ambientali attuali, si cerca chi li ha prodotti, chi deve pagare e chi deve rinunciare a qualcosa. La questione climatica è attualmente una cartina di tornasole per ogni politica di giustizia e di uguaglianza, ed è parte integrante del nostro impegno nella cooperazione internazionale, che si traduce nella difesa dei popoli e delle comunità meno responsabili dei disastri ambientali.

A proposito della difesa delle popolazioni fragili. Focsiv riconosce l’importanza dei Corpi Civili di Pace. In che modo possono favorire la giustizia climatica?

I Corpi Civili di Pace sono il tentativo di realizzare una difesa civile, non armata e non violenta in situazioni di conflitto e di emergenze ambientali. In Italia abbiamo coinvolto 500 giovani, a partire dal triennio 2014-2016, in vari campi di azione: dai processi di democratizzazione alla promozione delle capacità di azione della società civile, dal monitoraggio del rispetto dei diritti umani alle attività umanitarie, dall’educazione alla pace al sostegno della popolazione che fronteggia emergenze ambientali. Focsiv, con i suoi soci, ha realizzato 18 i progetti nella seconda annualità della sperimentazione CCP. In Europa, in America Latina: Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Ecuador e Perù; in Africa: Senegal e Tanzania; in Medio Oriente, Libano e Palestina ed in Italia. In ciascuno di questi progetti è fondamentale la partecipazione alla vita delle comunità locali, con analisi dei rischi ambientali e delle condizioni di vita delle popolazioni, mappatura dei conflitti causati dall’inquinamento ambientale, attività di educazione ambientale, promozione di comitati di villaggio, formazione nel campo delle tecniche colturali, elaborazione di piani di riforestazione e di promozione delle biodiversità, sistemi di accesso all’acqua, promozione di piccole imprese agricole o agroalimentari, campagne di advocacy e pressione istituzionale, assistenza legale. Piccoli passi, ma fondamentali per il nostro futuro.

Dalla cura della terra dipende la qualità della nostra vita e la convivenza pacifica. Con il Rapporto «I Padroni della Terra» di Focsiv avete denunciato gli effetti negativi del fenomeno del land grabbing e quello dell’urban grabbing.

Grabbing vuol dire prendere, accaparrarsi. Vuol dire proprietà, rendita fondiaria, sfruttamento intensivo, governo del cibo. Ma anche rendita urbana, governo dell’abitare, prezzi e affitti sempre più salati, gentrificazione ed esclusione. Le terre sono al centro della geopolitica, dei conflitti di potere: oggi nel Donbass come in Palestina, nel canale di Suez come a Panama, a Taiwan come in Armenia, nel Kosovo come in tante parti del mondo, dove i pastori si scontrano con gli agricoltori. Perché la terra fertile, che potrebbe diminuire, è una risorsa finita. Mentre le città, che possono crescere, anche in altezza, sono energivore, a spese della natura. L’Onu stima che la popolazione mondiale sarà di 10 miliardi nel 2050. Di questi il 75% vivranno nelle città e saranno 7,5 miliardi, oggi sono 4 miliardi. Come possiamo assicurare il cibo, le case, nuove città e nuovi quartieri per quelle persone? Crescerà inoltre il water grabbing, con effetti altrettanto nefasti. E la guerra, prodotta anche dal land grabbing e dall’urban grabbing, ne è un acceleratore e un moltiplicatore, con città e campagne devastate, e milioni di sfollati, di profughi, di migranti.

L’Onu ha assunto l’impegno di dedicare lo 0,7% del RNL alla cooperazione internazionale. Questa risorsa economica riguarda anche lo sviluppo sostenibile delle comunità locali?

Riguarda la valorizzazione delle specificità territoriali, con politiche e progetti su misura in campo economico, sociale e ambientale. La prospettiva è quella dell’enciclica Laudato si’. È necessario che l’Italia mantenga la parola data nel 1972, in sede Onu, di dedicare lo 0,70 % del suo reddito nazionale lordo agli aiuti pubblici allo sviluppo e alla cooperazione internazionale. Impegno ribadito dalla Agenda 2030, sottoscritta nel 2015 da 193 paesi membri dell’ONU. Oggi siamo allo 0,32%, quota inferiore alla media europea (0,57%), a quella della Francia (0,50%), della Germania e dei Paesi scandinavi, che hanno già raggiunto quel traguardo. Questo è il senso e l’obiettivo della Campagna 070, promossa da AOI, CINI, LINK 2007 e FOCSIV, con il patrocinio di ASviS, Forum Terzo Settore e Caritas. È un banco di prova che riguarda noi (il legislatore ha riconosciuto alla Cooperazione internazionale con la Legge 125/2014 il compito di parte integrante e qualificante della politica estera) e l’Italia, per la sua credibilità e per la sua affidabilità internazionale.