Alcuni mesi fa è andato in pensione il dottor Didier Pittet, nome che dirà poco ai più, ma moltissimo ai medici di tutto il mondo. Infettivologo, epidemiologo e professore presso l’Università di Ginevra, Pittet, con il collega William Griffiths, è l’inventore della soluzione idroalcolica per disinfettare le mani che abbiamo abbondantemente usato durante la pandemia di Coronavirus. Campus, rivista scientifica dell’università di Ginevra, ha dedicato a Pittet, nel numero del dicembre scorso, un articolo che ben spiega come la sua sia stata un’invenzione che ha letteralmente salvato milioni di vite.

Tutto comincia con le infezioni ospedaliere, problema di cui i nosocomi non parlano volentieri perché, insomma, lì ci si va per curarsi e non per ammalarsi. Quando a Pittet viene chiesto, nel 1992, di misurare l’ampiezza del problema, ci si accorge che il tasso di infezioni presso gli ospedali ginevrini è del 18%, con punte del 30%. La ragione è semplice. Studiando i comportamenti di medici e infermieri, Pittet si accorge che solo il 48% del personale si lava le mani seguendo scrupolosamente i protocolli, e c’è una spiegazione. Nei reparti di cure intensive, per esempio, se si dovesse essere ligi bisognerebbe lavarsi le mani 20 volte in un’ora. Tenendo conto che ogni lavaggio richiede da uno a due minuti, il personale passerebbe quasi metà del tempo sul lavandino. È qui che Pittet e i suoi collaboratori hanno l’idea geniale, sostituire l’acqua e il sapone con una soluzione contenente un terzo di acqua, due terzi di alcol e un emolliente. I risultati gli danno ragione. Il tasso di osservanza delle regole passa dal 48 al 67%, la trasmissione di staffilococchi multiresistenti crolla da 2,16 a 0,93 episodi su mille giorni di ospedalizzazione. È nato il «Metodo Ginevra» che da quel momento Pittet comincia a promuovere in tutto il mondo, e a gratis, nel senso che non mette il brevetto sulla sua invenzione per permettere a tutti i Paesi di produrla a costi contenuti. Tutto risolto? Mica tanto perché a questo punto entrano in scena resistenze culturali e religiose, mode da cambiare, abitudini da sradicare.
Il primo problema si presenta nei Paesi musulmani dove, essendo bandito l’alcol, anche la soluzione idroalcolica sulle mani è vietata. Pittet convincerà, con studi e dati, i rigorosi seguaci del Corano che la quantità di alcol che penetra nel sangue attraverso la pelle è nulla.

Creativo è invece l’atteggiamento in Russia dove, anziché spargerla sulle mani, la soluzione se la bevevano, neanche fosse vodka. «Per aggirare il problema abbiamo dovuto aggiungere sostanze che provocano vomito», ha detto Pittet a «Campus». Poi ci sono gli americani, anzi le infermiere americane, e il loro sindacato, che non volevano assolutamente usare la soluzione perché rovinava lo smalto delle unghie finte. Hanno dovuto convincerle a togliere le protesi unghiali, per altro veri nidi di germi, piuttosto che rinunciare alla disinfezione. Sembrava tutto a posto, quando sono saltati su i pompieri che trovavano pericolosissimo invadere gli ospedali con del liquido infiammabile, l’alcol appunto, al che Pittet ha avuto il suo daffare a mostrargli, dati alla mano, che era statisticamente molto minore il rischio di incendi in rapporto alle vite che quello stesso liquido avrebbe salvato.
Nella sua infaticabile campagna, condotta in giro per il mondo per l’OMS, Didier Pittet ha anche collaborato a un film, di Geraldine André e Stéphane Santini, intitolato Clean Hands. Da noi si tradurrebbe Mani Pulite, ma sappiamo che quella doveva curare altre infezioni.

mariangela.mianiti@gmail.com