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I migranti sopravvissuti alla strage di Tajoura tornano dai carcerieri: «Per noi non c’è salvezza»

I migranti sopravvissuti alla strage di Tajoura tornano dai carcerieri: «Per noi non c’è salvezza»le rovine del centro di detenzione per migranti di Tajora dopo il bombardamento

Libia La denuncia del capo missione di Medici senza Frontiere in Libia Sam Turner: «Solo 95 superstiti sono stati evacuati». Al Tribunale dell'Aja aperta indagine sulle responsabilità dei 53 morti e 130 feriti

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 16 luglio 2019

Il governo di Tripoli aveva dichiarato di averli «rilasciati», masarebbe stato più corretto dire «abbandonati». E così, non sapendo dove andare, molti migranti sopravvissuti al bombardamento del 3 luglio del centro di detenzione di Tajoura, stanno tornando dentro il capannone devastato, nonostante le condizioni all’interno siano ancora più invivibili e i rischi di essere di nuovo presi a bersaglio della guerra, che va avanti ancora più violenta tutto intorno, siano aumentati esponenzialmente.

A denunciare questa situazione, che riguarda circa 300 persone sopravvissute all’attacco aereo notturno attribuito all’aviazione del generale Haftar costato la vita a 53 persone con il ferimento di altre 130, è stato, ieri, il capo missione di Medici senza Frontiere in Libia, Sam Turner. A parte un centinaio di migranti che erano detenuti lì e che sono stati trasferiti in altri centri dalle organizzazioni umanitarie o hanno trovato da soli altre collocazioni o sono fuggiti, gli altri hanno cercato riparo nella struttura bombardata a pochi passi dal deposito di munizioni e veicoli della milizia che gestisce entrambi gli hangar per conto del governo Serraj. Un miliziano che ha parlato con Msf volendo restare anonimo – riferisce Turner – ha detto: «Abbiamo ripreso a lavorare, ne arrivano più di prima».

La liberazione, chiesta dall’Unhcr e dall’Oim, di tutti i 5.800 migranti imprigionati nelle carceri della Libia, di cui 3.000 nelle zone dove si combatte, senza un piano di evacuazione, per loro non rappresenta una soluzione, se hanno accettato di tornare sotto il controllo dei miliziani che quella notte hanno sparato su chi fuggiva dalle bombe – come risulta dalle testimonianze raccolte dalla missione Unsmil dell’Onu. Sulle responsabilità della strage ora all’Aja la procuratrice Fatou Bensouda ha aperto un’indagine, secondo quanto risulta ai media libici.

I combattimenti nella periferia a sud di Tripoli nel frattempo si sono intensificati. Le forze armate al comando del generale Haftar (Lna), che dal 4 aprile ha lanciato l’offensiva sulla capitale, tra sabato e domenica stanno cercando di riconquistare la base di Gharyan, dopo aver fatto affluire in zona i veterani delle battaglie di Derna e Bengasi, e sostengono di essere ad un passo dalla «liberazione totale della città dalle milizie» pagate da Serraj. Un’inversione di marcia che i nemici di Misurata fedeli governo di accordo nazionale (Gna) contestano. I combattenti morti da entrambe le parti in questa nuova pagina della guerra civile libica alimentata dalle armi straniere, sono ormai ben oltre quota mille, nel bilancio dell’Oms.

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