I gulag dei bambini profughi
Stati uniti In meno di un anno sono stati 50 mila i minori arrestati mentre tentavano di varcare la frontiera Usa. Vengono rinchiusi in prigioni-lager al confine di El Norte in condizioni disumane e a «tempo indeterminato»
Stati uniti In meno di un anno sono stati 50 mila i minori arrestati mentre tentavano di varcare la frontiera Usa. Vengono rinchiusi in prigioni-lager al confine di El Norte in condizioni disumane e a «tempo indeterminato»
Si presentano alla frontiera soli, spesso dopo migliaia di chilometri di viaggio fatti a piedi, da clandestini su treni merci, in autobus. Come truppe di un inarrestabile esercito, continuano ad arrivare – ma questi non sono bambini soldato, non imbracciano armi, solo la propria disperazione. Migliaia, decine di migliaia di minorenni sono l’ultima ondata sospinta sul confine Americano dalla povertà e dalla violenza del Centro America.
Stando ai dati del dipartimento di immigrazione, in appena poco più di sei mesi sono stati arrestati quasi 50.000 minorenni non accompagnati da genitori o adulti, a volte poco più che bimbi in età da asilo. Provengono quasi tutti da quattro paesi, Messico, El Salvador, Guatemala e Honduras, molti spediti da parenti a raggiungere famigliari che li hanno preceduti nel pericoloso viaggio verso El Norte.
In questi giorni a centinaia sono rinchiusi dietro i reticolati e il filo spinato dei centri di detenzione della Immigration and Customs Enforcement, una delle reti di prigioni per stranieri che sono ormai di norma in molti paesi occidentali, Italia in primis). La legge prevede che i migranti minorenni siano processati entro 72 ore, per poi essere trasferiti in un centro per rifugiati ma il border patrol è in grado di smaltire non più di 6000 pratiche l’anno e per i bambini si prospetta così la detenzione a tempo indeterminato. Entro la fine dell’anno i piccoli detenuti orfani della globalizzazione potrebbero raggiungere i 90.000, numeri che la settimana scorsa hanno hanno indotto il presidente Obama a dichiarare la situazione un urgente crisi umanitaria e ordinare alla protezione civile di assistere nel far fronte alla contingenza.
L’aumento repentino dei profughi bambini è legato alla persistente miseria dei paesi di origine e al deterioramento delle condizioni di sicurezza in una regione preposta al transito della droga gestito da bande criminali alimentate a loro volta dal rimpatrio di gang formatesi nei barrios delle città americane. Il Centro America è il «fronte» della war on drugs, l’interdizione armata al traffico di stupefacenti imposta dagli Stati Uniti e anche per questo sconvolta dalla violenza. Ma l’impennata si spiega anche con la diffusione delle voci sull’«amnistia» che verrebbe concessa ai minorenni una volta giunti su suolo americano, una distorsione forse volutamente alimentata dai cartelli del contrabbando umano per incrementare un traffico lucroso (un transito dal Centro America fino al Texas o l’Arizona può costare dai $4000 – $8000 a bambino). Per i racket dei coyotes gli «scafisti» del deserto, i bambini sarebbero un fertile mercato per supplire alla diminuzione della domanda dell’immigrazione tradizionale, principalmente braccianti messicani, sensibilmente diminuita da qualche anno a causa della crisi economica.
Fino al 2010 i bambini non accompagnati che attraversavano il confine andavano dai 6000 agli 8000. Nel 2011 sono stati oltre 13000, nel 2012 sono quasi raddoppiati, arrivando a 25000. Secondo il dipartimento di Homeland Security da ottobre sarebbero stati arrestati 11,577 bambini messicani, 13,282 dell’Honduras 11,479 del Guatemala e 9,850 dal Salvador. Sopraffatte, le autorità stanno convertendo capannoni industriali e basi militari per ospitare i reclusi-bambino, voli speciali ne hanno trasferiti centinaia dal Texas dove maggiore è stato il flusso in centri di detenzione provvisoria in Arizona.
In un gigantesco magazzino riattrezzato in fretta e furia a Nogales, in Arizona, centinaia di bambini, alcuni di 5 o 6 anni, dormono in terra e attendono l’ora d’aria richiusi in gabbie di reticolato guardati dai babysitter-aguzzini; un emblematico comunicato del dipartimento di immigrazione ha reso noto che «scarseggiano pannolini e la formula per lattanti».
La catastrofe umanitaria sulla porta di casa ha determinato una prevedibile crisi politica in un momento in cui sull’immigrazione è già alto livello di scontro fra repubblicani e Casa bianca. I conservatori accusano Obama di aver causato il problema con politiche troppo permissive, un riferimento alla decisione di sospendere i procedimenti di deportazione nei confronti di ragazzi, molti portati clandestinamente nel paese nella prima infanzia ma che attualmente frequentano la scuola. In realtà il cosiddetto Deferred Action for Childhood Arrivals (Daca) è stata la prima concessione di Obama alla comunità ispanica dopo un aggressiva politica di deportazioni che dalla sua elezione ha portato al rimpatrio forzato di oltre 150.000 persone.
Per tentare di rallentare il flusso alle origini, la scorsa settimana il vicepresidente Biden era stato spedito nella regione per scoraggiare i giovani migranti. Martedì il segretario di Homeland Defense, Jeh Johnson ha inviato a quotidiani centroamericani un editoriale in cui esorta i genitori a non imbarcare i figli in una pericolosa avventura che può avere tragico esito. «Ai genitori di questi bambini voglio dire: spedire i vostri figli illegalmente negli Stati Uniti non è una soluzione». «Solo chi si trova nel paese già dal 2011 può beneficiare della legge» ha spiegato il ministro aggiungendo che un bambino che immigra oggi non ha diritto ad alcuna amnistia. È però tuttavia previsto il diritto ad un eventuale richiesta di asilo e nel caso di minori seppure non è automatico il ricongiungimento con eventuali famigliari in Usa, è illegale il rimpatrio immediato. Se è per questo anche la detenzione per quanto «preventiva» dei minori è di dubbia legalità, almeno così ha sostenuto Jorge Milla Reyes, ambasciatore dell’Honduras a Washington. Ana Garcia, la moglie del presidente honduregno Juan Orlando Hernández, ha invece annunciato che si recherà personalmente negli Stati Uniti per chiedere che i bambini possano essere rimpatriati sotto gli auspici del suo governo. Ipotesi peraltro improbabile quanto difficilmente gradita agli interessati.
Per il momento il gulag dei bambini profughi è destinato a crescere.
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