I guai del Cile che non si fida. E quelli del papa
Salutando Bachelet Domenica le presidenziali. Intervista al’ex superiore gesuita Fernando Montes Matte, vecchio compagno di Bergoglio e maître à penser
Salutando Bachelet Domenica le presidenziali. Intervista al’ex superiore gesuita Fernando Montes Matte, vecchio compagno di Bergoglio e maître à penser
Ex rettore dell’Università Alberto Hurtado di Santiago, ex superiore dei gesuiti cileni e antico compagno di papa Bergoglio, Fernando Montes Matte è un maître à penser riconosciuto non solo nel suo paese, ma nell’intera America latina. Nei giorni scorsi era a Roma ospite della Curia generalizia della Compagnia di Gesù a Borgo Santo Spirito, dove l’abbiamo raggiunto.
Il 19 novembre ci sarà il primo turno delle elezioni presidenziali e legislative in Cile. Sembra che il candidato della destra sia il favorito.
È sicuro che Sebastián Piñera vincerà il primo turno. È anche possibile, per quanto non sia sicuro, che non debba andare al ballottaggio. Anche se sembra non molto probabile.
Che campagna elettorale c’è stata in Cile in questi mesi?
A mio modo di vedere, è stata una campagna abbastanza povera, centrata sullo squalificare i candidati, più che tesa a rappresentare seriamente un programma.
Quali sono i problemi più importanti del paese in questo momento?
La gente non si fida molto delle istituzioni, dei politici, degli impresari, della Chiesa, senza riconoscere i notevoli progressi che il paese ha ottenuto nell’educazione, nella salute, nella trasparenza ecc. In Cile il tasso di scolarizzazione è molto alto e, per quanto possa sembrare incredibile, c’è una speranza di vita superiore a quella degli Stati uniti. Nessuno vuole riporre la propria fiducia nell’altro e accettare che l’altro lo rappresenti.
Eppure nel panorama politico cileno qualcosa di nuovo si è manifestato. Mi riferisco al Frente Amplio e alla candidatura di Beatriz Sánchez. Neppure lei ha saputo dare una scossa all’apatia dell’elettorato cileno?
È così. Beatriz Sánchez rappresenta i movimenti più nuovi e abbastanza distanti dalla sinistra tradizionale. Tra di loro ci sono differenze abbastanza grandi, e per tale ragione Sánchez non riesce a unire nemmeno tutti i gruppi più a sinistra.
Lei ha dichiarato che Papa Francesco non veniva in Cile perché c’erano dei problemi. Sono stati risolti?
C’è un problema che riguarda il gruppo del sacerdote Karadima (accusato di abusi sessuali contro minori e il cui caso ha creato molto scandalo nel paese, ndr). Il pontefice ha sostenuto un vescovo che viene da questo gruppo, per cui alcuni considerano che Francesco stia appoggiando una persona che contraddice il suo sforzo di riforma.
Mi sta dicendo che il papa appoggia in Cile qualcuno che è contro la sua linea di riforma?
Dico che nel profondo così lo sente molta gente. Il papa no, perché pensa probabilmente che si stia condannando un innocente vista l’atmosfera colpevolista che si respira nel mio paese. Io non so se il papa abbia a disposizione tutte le informazioni sulla situazione, che è complessa, della realtà cilena.
Ma alla fine Bergoglio visiterà il Cile…
Ci si sta preparando a riceverlo, e sulla stampa escono critiche sui costi della visita. Anche se la maggioranza della gente lo sta aspettando con molta speranza. Il Cile recentemente si è aperto all’immigrazione da altri paesi latino americani. Abbiamo anche accolto un centinaio di migranti siriani. È importante che il papa ci appoggi nel nostro sforzo di ricevere chi ha bisogno. Abbiamo poi un problema particolarmente grave, che riguarda i Mapuche. Probabilmente il papa farà riferimento a questa situazione che è cruciale per il nostro paese.
Da parte dei cattolici conservatori, il Papa è accusato di allontanarsi da quel giusto equilibrio che sarebbe necessario al governo della Chiesa.
Conosco il papa e sono stato suo compagno, siamo entrambi gesuiti. Io sono stato superiore in Cile quando lui lo è stato in Argentina e abbiamo avuto molte occasioni di vederci e di collaborare. Quando vedo la resistenza che suscita, come sociologo non posso smettere di comprenderla. Chi ha letto l’epistola di San Paolo ai Galati conosce la resistenza che ci fu nella prima Chiesa all’introduzione dei cambiamenti che Gesù voleva apportare alla religione ebraica. Erano gli stessi cristiani che si opponevano e San Paolo dovette scrivere questa lettera molto forte affinché si accettasse una via di misericordia, di apertura e di futuro. Questa situazione si va riproponendo in modo molto simile oggigiorno. Il mondo va avanti e la Chiesa non può tornare indietro. Il Papa propone una direzione corretta. I cambiamenti nella Chiesa, come abbiamo visto già col Concilio di Trento, non avvengono un giorno per l’altro. Il cambiamento introdotto dal Concilio Vaticano è irreversibile ma bisognerà che passi tempo affinché il suo messaggio ne esca completamente consolidato. Il papa è portatore di un vangelo aperto, incarnato, misericordioso, dialogante con la società. La Chiesa cattolica è universale e noi dobbiamo imparare a dialogare con tutte le culture se vogliamo essere veramente fedeli a Gesù.
I cileni si riconoscono nel magistero del papa e nel suo lavoro riformatore?
La grande maggioranza sì. Quanto alla sua prossima visita dobbiamo fare uno sforzo di umiltà, non pensare che siano gli altri che debbano convertirsi, ma che tutti dobbiamo convertirci. La stessa Chiesa cilena, tutti i vescovi devono interrogarsi se si ritrovano in questo spirito. Dobbiamo fare in modo che questa sia l’occasione per analizzare la situazione in cui ci troviamo. Non quindi che gli altri cambino, ma che ciascuno di noi possa cambiare. Che è la linea corretta che Bergoglio ci sta indicando. In Cile la Chiesa ha perso molta della sua credibilità dai tempi del cardinale Silva, allontanandosi dal modello che egli aveva attuato, di una comunità al servizio dell’umanità e dei diritti umani. La visita di Francesco può essere l’occasione per far sì la Chiesa possa recuperare quella credibilità.
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