La scorsa estate ha destato clamore che i club della Saudi Pro League siano venuti a fare shopping sul mercato calcistico europeo. Quello che è uno dei pilastri del Saudi Vision 2030, il programma di sviluppo economico, industriale e culturale che dovrebbe traghettare l’Arabia Saudita verso un futuro di maggiore protagonismo diplomatico e di minore dipendenza dalle esportazioni di petrolio, è stato vissuto dai maggiorenti della Uefa e della Fifa come un attentato di lesa maestà.

A guardar bene, si tratta di un fenomeno – a dire il vero secondario – che apre un nuovo fronte nella più complessiva messa in discussione degli equilibri geopolitici a livello mondiale. Detto più esplicitamente, e per quanto sia arduo accordarsi su cosa significhi davvero «Occidente», è il suo primato planetario che ha subito uno scossone per il trasferimento dei vari Cristiano Ronaldo, Benzema e Verratti sui campi da gioco del regno saudita.

Nihil sub sole novum, va detto. Giusto in questi giorni ricorre il 60esimo anniversario dei «Giochi delle Nuove Forze Emergenti» (Ga.N.E.Fo., dall’inglese Games of New Emerging Forces), disputatisi a Giacarta dal 10 al 22 novembre 1963 per la principale iniziativa del presidente indonesiano Sukarno e il decisivo appoggio della Cina di Mao Zedong.

Sukarno era il leader nazionalista che il 17 agosto 1945 aveva proclamato l’indipendenza dal Giappone e dai Paesi Bassi, anche se fu necessaria una guerra contro l’Impero coloniale olandese per la piena liberazione. Divenuto presidente della neonata repubblica, Sukarno era persuaso che Asia, Africa, Sudamerica e le nazioni dell’Europa socialista fossero le forze emergenti, che si contrapponevano agli Stati Uniti e all’Europa al di qua della Cortina di ferro, il cosiddetto Occidente fondato su colonialismo, imperialismo e capitalismo.

In piena Guerra fredda, i paesi in fase di de-colonizzazione erano alla ricerca di un posto nel mondo. Nell’aprile 1955, 29 nazioni asiatiche e africane si incontrarono nella città giavanese di Bandung. Fu la prima Conferenza internazionale senza la presenza di potenze occidentali: grazie al fondamentale contributo dell’egiziano Nasser, dell’indiano Nehru, del cinese Zhou Enlai e dello jugoslavo Tito, il documento finale fu redatto in ossequio ai principi di non ingerenza, autodeterminazione e neutralismo. Fu la base del Movimento dei Paesi Non-Allineati, che rivendicavano uno spazio di manovra nel quadro del contrasto fra Est e Ovest.

Per rafforzare la propria guida sui popoli del Terzo Mondo, Sukarno pensò ai Giochi Asiatici, in programma nel 1962 proprio in Indonesia: quale occasione migliore per offrire alla «nuova gioventù» un luogo di incontro, per rafforzare l’identità nazionale indonesiana e per rifondare lo sport sui principi di Bandung?

Quando Sukarno negò la partecipazione ai Giochi a Taiwan (in favore della Cina comunista) e Israele (invitò invece la Palestina e i paesi arabi all’epoca non inclusi nelle federazioni asiatiche), il Comitato Internazionale Olimpico (Cio) minacciò sanzioni. Era intaccato il proprio indiscusso controllo sullo sport internazionale e violato il sacro mantra della presunta e ipocrita separazione fra sport e politica, che Sukarno rigettava in toto e che lo stesso Cio onorava a circostanze alterne: non era stata una decisione politica estromettere dalle Olimpiadi di Londra del 1948 i paesi aggressori della Seconda guerra mondiale (ma non l’Italia per il suo status di co-belligerante)? E non era una posizione politica tollerare che i paesi della Nato rifiutassero l’ingresso nei loro confini agli atleti della Germania Orientale?

L’Indonesia uscì dal Cio e Sukarno concepì le sue contro-Olimpiadi. Cinquantuno paesi risposero alla chiamata, sposando i principi ispiratori dei Ga.N.E.Fo., che promuovevano la fratellanza e la solidarietà in luogo del puro spirito competitivo. La cerimonia di apertura ebbe luogo di fronte a più di 100.000 spettatori, nel gigantesco stadio Gelora Bung Karno, che era stato edificato con il determinante aiuto sovietico.

La delegazione più numerosa era quella della Repubblica Popolare Cinese, desiderosa di rompere l’isolamento internazionale e di porsi alla testa dei territori usciti dalla colonizzazione o in procinto di farlo. La massiccia partecipazione della Cina, che generosamente finanziò le spese di viaggio per gli atleti dei paesi più poveri, spinse l’Urss in una posizione scomoda. Le relazioni sino-sovietiche erano al minimo storico, ma Mosca non poteva permettersi di snobbare i Giochi delle Forze Emergenti poiché ambiva a egemonizzare il movimento terzomondista. D’altra parte, l’Urss non intendeva rischiare un’espulsione dal Cio, ora che si era capito che le Olimpiadi erano un’altra arena dove competere contro il mondo capitalista.

Il Cremlino optò per un basso profilo. Furono inviati atleti di secondo piano, che non avrebbero gareggiato alle Olimpiadi di Tokyo dell’anno dopo, e fu ordinato agli organi di stampa del blocco orientale di oscurare l’avvenimento. Alla consegna si attenne anche il Pci di Togliatti, benché la sparuta rappresentanza azzurra (presente senza il viatico del Coni) fosse guidata dal senatore comunista Arrigo Morandi, in qualità di presidente della Uisp.

La condotta della Gazzetta dello sport fu ambivalente: da un lato, coprì sporadicamente la kermesse, riportando i risultati più eclatanti come i record battuti nell’atletica e nel sollevamento pesi, dall’altro omise del tutto di riferire le prestazioni degli italiani.

Emblematico della posizione occidentale fu un articolo canzonatorio che apparve su Sports Illustrated, il principale magazine sportivo statunitense. Gli atleti privi di posizione ufficiale furono dileggiati, senza considerare che si trattava sovente di rappresentanze di gruppi politici in lotta contro l’occupazione coloniale, così come furono derisi i paesi che, pur aderendo, non riuscirono a presenziare alla cerimonia inaugurale per difficoltà logistiche o economiche. L’organizzazione fu bollata di inefficienza per l’imperversare di bagarini che smerciavano biglietti falsi a prezzi esorbitanti, il che segnalava almeno il traboccante interesse che i Giochi rivestivano per i locali. Lo scherno investì anche gli esiti delle gare: l’assegnazione dell’oro nel torneo di calcio mediante sorteggio fu commentata con tagliente sarcasmo, dimostrando di ignorare che all’epoca non erano previsti i rigori in caso di parità dopo i supplementari – la stessa Italia avrebbe vinto alla monetina la semifinale contro l’Urss agli Europei del 1968.

Su un aspetto il Cio e i media occidentali colpirono nel segno. I Ga.N.E.Fo. ebbero vita breve. Una seconda edizione, meno partecipata e senza il respiro terzomondista attribuitogli da Sakarno, andò in scena in Cambogia nel 1966: fu il canto del cigno.

Un golpe rovesciò il presidente Sukarno nel 1967 e la feroce dittatura di Suharto sterminò centinaia di migliaia di comunisti e simpatizzanti di sinistra. La politica filo-occidentale e rigidamente anti-comunista del dittatore non poteva accordarsi con le sfide che Sukarno aveva portato al Primo Mondo, men che meno con rassegne sportive che avevano ottenuto di avvicinare il paese alla Repubblica popolare cinese. Per tali ragioni, i «Giochi delle Nuove Forze Emergenti» furono cancellati dalla memoria nazionale.