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I decreti sicurezza dietro il focolaio dell’ex caserma di Treviso

L'ex caserma Serena di TrevisoL'ex caserma Serena di Treviso

Covid-19 I migranti hanno manifestato per il rischio contagi. Ora la Lega li accusa. E già a giugno le ong denunciavano il sovraffollamento nel centro, dovuto all'abolizione degli Sprar

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 2 agosto 2020

Succede quando l’accoglienza finisce in caserma, quando il Covid non esiste e, se esiste, lo diffondono i migranti. Succede al centro di accoglienza situato nell’ex caserma Serena di Dosson di Casier, piccolo borgo a ridosso di Treviso, oggi trasformatosi in uno dei più pericolosi focolai di infezione del Veneto.

Gli ultimi tamponi effettuati dall’Ulss tra venerdì e sabato mattina hanno accertato la presenza di 137 positivi su 297 ospiti testati della struttura.

IL FORTE RISCHIO di diffusione della pandemia tra i migranti ammassati nei dormitori comuni dell’ex caserma era già stata denunciata dalle associazioni per i diritti umani sin da metà giugno. Un operatore della struttura appena rientrato dal Pakistan era stato spedito a lavorare senza fargli rispettare il periodo di quarantena.

Per paura di perdere il lavoro, nella mensa della struttura, l’uomo nascondeva la febbre con le Tachipirine. Solo al momento del suo ricovero in ospedale, è stato scoperto positivo al Covid-19.

I MIGRANTI HANNO organizzato anche alcune manifestazioni di denuncia del rischio di diffusione della pandemia, ma non sono stati ascoltati dal sindaco di Treviso, il leghista Mario Conte, che si è opposto a qualsiasi ipotesi di trasferimento e di smistamento degli ospiti in strutture più piccole, minimizzando la questione, invocando un impossibile coprifuoco e tacciando gli ospiti di ingratitudine.

Il risultato è quello che oggi è sotto gli occhi di tutti. L’infezione si è propagata e ora quasi metà degli ospiti dell’ex Serena sono stati contagiati.

«Ma i migranti costretti a vivere in quel posto orribile che è l’ex caserma Serena non sono untori – ha commenta Monica Tiengo dell’Adl Treviso – Sono le vittime dei decreti sicurezza voluti da Salvini. Le vittime di un sistema che li vuole prigionieri in uno dei più grandi hub della regione. Fin dalla sua apertura chiediamo che quel posto venga chiuso e che i richiedenti asilo vengano distribuiti in strutture più piccole e dignitose. E invece hanno fatto di tutto per favorire la diffusione del virus, così che oggi possono dare la colpa del Covid ai migranti e trasformare la paura in voti».

Il centro situato negli spazi dell’ex caserma Serena è gestito dalla srl Nova Facility, una società sorta sulle ceneri dell’impresa di costruzione Pio Guaraldo spa, chiusa nel 2017 per fallimento con un buco di svariati milioni di euro dopo aver gettato nel lastrico centinaia di creditori.

Un anno fa, la gestione del centro gli era stata soffiata da una cooperativa napoletana, la Marinello. La faccenda finì in tribunale. Il giudice diede ragione alla Nova Facility che tornò a gestire l’ex caserma. La nuova amministrazione di Treviso le ha affidato anche tutti i servizi sociali della città.

I MIGRANTI POSITIVI dell’ex Serena sono diventati in Veneto un fertile terreno di battaglia elettorale e hanno scatenato nei social la rabbia delle destre che imputano la diffusione del contagio ai migranti. Lo stesso presidente della Regione, Luca Zaia, ha dichiarato: «All’ex caserma Serena c’è un focolaio di coronavirus perché ci sono delle persone che hanno dato vita al focolaio».

Il presidente uscente ha invocato l’immediata chiusura del centro, dimenticandosi che la struttura era stata fortemente voluta da una amministrazione comunale leghista, da una giunta regionale leghista e da un ministro leghista.

Glielo ha ricordato il suo antagonista alla carica di presidente del Veneto, Arturo Lorenzoni: «L’abolizione del sistema Sprar, per cui vanno ringraziati Salvini e la Lega, ha creato i presupposti per questi mega centri di assembramento e le condizioni per potenziali situazioni di conflitto. Io credo sia urgente lo svuotamento in sicurezza della caserma Serena, che rappresenta un modello di accoglienza superato e foriero di problemi per chi è accolto e per chi accoglie. Mettiamo in atto un’accoglienza diffusa, gestibile e a misura della dignità delle persone che è anche l’unica capace di fermare la diffusione del virus».

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