La giornalista brasiliana Miriam Leitão ha pubblicato, nell’ultima settimana, un reportage e una serie di registrazioni realizzate all’interno del Tribunale Superiore Militare (Stm), tra il 1975 e il 1985, che comprovano, ancora una volta, le atrocità commesse dalla dittatura militare in Brasile (1964-1985). In tutto, secondo il quotidiano O Globo, ci sono più di 10mila ore di registrazioni in audio che, dal 2017, sono state analizzate dallo storico Carlos Fico, dell’Università Federale di Rio de Janeiro (UfRJ).

Lei stessa vittima di torture, Leitão ha diffuso il materiale sul suo blog dopo essere stata attaccata sui social dal deputato Eduardo Bolsonaro (Pl-Sp), figlio del presidente Jair Bolsonaro. Il 3 aprile, Eduardo Bolsonaro aveva scritto che sarebbe «ancora dispiaciuto per il serpente», in riferimento al periodo in cui Leitão è stata detenuta in una caserma dell’Esercito a Vila Velha, nel 1972.

La giornalista ha raccontato, nel 2014, di essere stata rinchiusa in una sala scura – nuda e incinta – insieme a un serpente per ore, oltre a una serie di altre aggressioni fisiche e sessuali subite.

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Il materiale, ottenuto con una decisione del Tribunale Superiore Federale nel 2015, dimostra che i membri del Stm erano a conoscenza della violazione dei diritti umani commessi dagli agenti. La sua analisi e diffusione potrebbe segnare un nuovo capitolo nelle indagini e nel giudizio degli accusati. Le ripercussioni del caso, inoltre, risvegliano una irrisolta necessità del paese di confrontarsi, seppur tardivamente, con la propria memoria del periodo della dittatura. La Commissione per i Diritti umani del Senato ha già richiesto al Stm le registrazioni e così da potere iniziare delle indagini.

Tra le rivelazioni contenute nei file audio ci sono storie come quella di una donna incinta di tre mesi, che ha abortito dopo avere ricevuto scosse elettriche sui genitali, mentre era detenuta nel Doi-Codi, un’agenzia militare della dittatura, narrata dal generale Rodrigo Octávio il 24 giugno 1977. Un altro caso è quello riferito il 15 giugno 1976 dal ministro Amarílio Lopes Salgado: un uomo, già detenuto perché sospettato della rapina di due banche, finì per confessare un’ulteriore rapina, avvenuta quando era già in carcere, a seguito delle torture inflitte con colpi di martello.

Nell’attuale contesto politico, segnato da intense campagne di disinformazione, in molti mettono in discussione anche fatti ampiamente conosciuti, come le atrocità commesse durante la dittatura militare. Lo stesso vicepresidente Hamilton Mourão ha pubblicamente ironizzato sul fatto, affermando che «non ci sarebbe nulla da investigare, dato che sono tutti già morti». Anche il presidente del Stm, il ministro e generale Luís Carlos Gomes Mattos, ha definito il caso una «notizia distorta per prendere di mira le forze armate».

A differenza di quanto accaduto in Argentina e Cile, dove le indagini hanno portato alla punizione di migliaia di persone coinvolte in crimini commessi durante i governi militari, in Brasile la Legge sull’Amnistia (1979) ha reso difficile portare a giudizio gli agenti della dittatura. Nel 2014 la Commissione Nazionale per la Verità ha identificato 377 persone come autori di crimini contro i diritti umani tra il 1964 e il 1985. Tra questi, 269 sono già morti.