I «broligharcs» reazionari della nuova Silicon Valley
Peter Thiel e i suoi fratlli Gli ultraricchi con il mito tecnologico hanno sovvertito la controcultura di Jobs e compagni
Peter Thiel e i suoi fratlli Gli ultraricchi con il mito tecnologico hanno sovvertito la controcultura di Jobs e compagni
I titani di Silicon Valley si stanno muovendo sulla scena di questa campagna elettorale americana, e lo stanno facendo con una decisione e una visibilità che non hanno precedenti. Si tratta sicuramente di una svolta, che per molti commentatori coincide con l’abbandono della posizione liberal – ossia di sinistra, progressista – che avrebbe caratterizzato il mondo del tech californiano sino ad ora. In realtà, la vita politica della Valley è sempre stata complessa e sfugge alle classificazioni tradizionali. La scelta pro-Trump è una novità, ma ha radici profonde nell’immaginario sociotecnico degli imprenditori e dei venture capitalists locali.
La storia di questa zona industriale risale ai primi decenni del Novecento, quando si comincia a costruire radio in mezzo agli agrumeti della contea di Santa Clara. La svolta avviene durante la seconda guerra mondiale: è la stretta collaborazione tra industria, università, e ricerca militare a dare forma a Silicon Valley. Il nome lo inventa una rivista nel 1970, riferendosi ai microprocessori prodotti nei capannoni bianchi che hanno rimpiazzato gli agrumeti, e che preparano l’arrivo del personal computer.
La reputazione liberal di Silicon Valley si consolida proprio negli anni in cui la baia di San Francisco diventa una culla della controcultura. Le comunità hippie si moltiplicano, e ispirano una nuova generazione di imprenditori, che troverà in Steve Jobs la sua figura più rappresentativa. Si dichiarano spesso apolitici, condividono un ethos che enfatizza la creatività – magari potenziata dal Lsd – e con la tecnologia vogliono fornire a tutti la possibilità di esprimersi liberamente. Un famoso spot televisivo per Macintosh del 1984 rovescia la profezia di George Orwell: le nuove tecnologie offrono all’individuo la possibilità di ribellarsi contro ogni potere oppressivo e uniformante. Si combinano così idee politicamente eterogenee: da una parte difesa dei diritti civili e lotta contro le discriminazioni, dall’altra sfiducia nella politica tradizionale, insofferenza per le procedure della democrazia rappresentativa, attrazione per le leadership carismatiche.
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Harris e Walz, il nuovo ticket presidenziale va in scena a PhiladelphiaCon l’affermarsi di Internet, negli anni Novanta, questa narrativa diventa esplicitamente libertaria, e si consolida un tecno-ottimismo che vede la tecnologia come forza inarrestabile e riorganizzatrice, in grado di risolvere qualunque problema. A condizione, sia chiaro, che questa forza non sia costretta da nessuna regolamentazione, nessun controllo politico, e nessuna organizzazione sindacale. In questa visione, la politica stessa, nelle sue forme tradizionali, non ha più ragione di esistere, perché può essere letteralmente rimpiazzata dalla tecnologia.
Se Steve Jobs rappresenta bene la fase ribellistica di Silicon Valley, la figura chiave degli ultimi due decenni è Peter Thiel, cofondatore di PayPal e Palantir, e mentore di molti giovani imprenditori, tra cui Mark Zuckenberg. In Thiel troviamo, oltre alla difesa della deregolamentazione, anche un’agenda politica esplicitamente reazionaria, che vede proprio nella controcultura degli anni Sessanta l’inizio di una crisi involutiva. Thiel non esprime solo scetticismo verso la politica rappresentativa, ma è convinto che il voto alle donne sia stato un errore e che le decisioni importanti non possano essere prese democraticamente. «Non credo più – ha scritto – che libertà e democrazia siano compatibili». Sono parole nel 2009, quando le sue idee politiche erano ancora marginali nella Valley. Oggi guida un nutrito gruppo di imprenditori che supportano Trump – il Guardian, con felice intuizione, li ha chiamati i broligarchs.
L’ethos di Silicon Valley, con i suoi miti fondativi, le sue gerarchie, la sua celebrazione del move fast and break things, è malleabile e si adatta al clima politico del momento. Ma si è sempre basato sul rifiuto della complessità e della fatica della politica, e sull’illusione che si possano fornire soluzioni puramente tecnologiche a problemi economici e politici. La Valley nasce fronteggiando San Francisco a Oakland, città portuali dalle forti tradizioni socialiste e sindacali. In alternativa a quei modelli, promette una meritocrazia che eliminerà ogni conflitto sociale, e una tecnocrazia guidata da miliardari geniali e visionari – gli artefici, così ci viene detto, di un futuro ormai ineluttabile.
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