I 170 slam di Ubaldo Scanagatta
Fili d'erba La rubrica sul torneo di tennis a Wimbledon
“Noi andavamo a ballare con Borg e Panatta, ci divertivamo. Una volta ho giocato con John McEnroe, a Forte dei Marmi, prima di andare a un suo concerto, al covo di Santa Margherita Ligure. Ma erano altri tempi. Il mestiere è cambiato”. E allora raccontiamoli questi vecchi tempi.
Ubaldo Scanagatta, giramondo from Firenze, segue il circus tennistico per almeno quattro mesi l’anno, si può dire da una vita. “Ho seguito 170 Slam”, dice con una punta di orgoglio. Siamo in odor di record, ma non ci sono classifiche a riguardo.
Fortunatamente non rientra nella insopportabile categoria dei cronisti di una certa età che vorrebbero spiegarti come va il mondo, senza naturalmente capirlo. Però provate a chiedergli un ricordo di una qualsiasi partita e scoprirete una sorta di summa enciclopedica della storia dei gesti bianchi.
“Te la ricordi la finale di Wimbledon, quella dell’85?”, provo a stuzzicarlo, mettendolo alla prova. “Certo”, risponde sicuro. “Prima vittoria di Boris Becker, contro Kevin Curren”. Per poi aggiungere: “Fu l’ultimo anno che si giocò con le palle bianche, vennero sostituite da quelle gialle per motivi televisivi. Le palle gialle si vedono meglio sull’erba. Ah, anche l’anno dopo vinse Becker”.
In sala stampa è un volto conosciuto e stimato. Quest’anno per celebrare il traguardo dei suoi cinquanta Wimbledon lo avevano persino invitato al Royal Box, invito poi ritirato per un’incomprensione di due anni prima con la security dell’organizzazione. “Una stupidaggine, poi risolta, ma siccome stiamo parlando della Casa Reale alla fine hanno giudicato la mia presenza not appropriate”. Sopravviveremo.
Ex giocatore, ha fatto parte della Nazionale juniores con Panatta, una laurea in giurisprudenza e una borsa di studio a Tulsa, in Oklahoma, Ubaldo Scanagatta iniziò a scrivere giovanissimo per Tennis Club, un mensile specialistico diretto dal grande Rino Tommasi. Poi arrivarono i primi pezzi per La Nazione e, nel 1974, il fatidico approdo a Wimbledon.
“Naturalmente non c’erano queste strutture moderne. I giornalisti stranieri, non più di una ventina, lavoravano tutti assieme con vecchie macchine da scrivere attorno un grande tavolo di legno compensato. Ma mi ricordo soprattutto il centralino telefonico, gestito da due vecchie signore, una roba da antiquariato”.
Il tennis allora non era molto popolare in Italia e dunque anche al telefono bisognava prendere i dovuti accorgimenti, per evitare spiacevoli equivoci. “Se dicevi Borg non capivano, anche se all’estero era conosciuto, e quindi dovevo dire borgo senza la o di Otranto finale”. Nel frattempo altri giornali si fanno avanti, incuriositi da questo inviato toscano che se ne va in giro per il mondo a raccontare il tennis. “Oltre alla Nazione iniziai a scrivere per il Corriere, la Repubblica di Mario Sconcerti e per il Messaggero, dove firmavo come Nicola Gardini, un divertente incrocio tra Nicola Pierangeli e Fausto Gardini, che Clerici aveva ribattezzato ‘scheletro magro’”.
A proposito di Gianni Clerici, insisto per un commento. “Era un personaggio incredibile, originalissimo, imprevedibile, vanitoso. E se posso permettermi, non sempre affidabile nelle storie che raccontava. In questo era stato contagiato da Tommasi e dal vecchio motto never spoil a good story with the truth, non rovinare una bella storia con la verità”. Un detto che ha radici antiche che giungono fino a Mark Twain. Ovvero quello che secondo Hemingway ha inventato la moderna letteratura americana.
“Per vari anni assieme a Rino e a tanti altri, inclusa Lea Pericoli, quando c’era Wimbledon dormivamo da Gianni, che ci ospitava in una bellissima casa a Holland park”. Altri tempi, appunto.
Al di là dell’innovazione introdotta dai social chiedo a Ubaldo, che oggi dirige Ubitennis, il sito di news tennistiche più seguito in Italia, come sia cambiato il mestiere e in quale direzione.
“La grande differenza è che oggi quasi nessuno frequenta più i giocatori. Devi passare per i manager, gli sponsor. Ma se alla fine tutto si riduce in noiose conferenza stampa le storie che potrai raccontare saranno certamente meno interessanti”. E tutte pericolosamente simili, mi verrebbe da aggiungere.
Al termine della chiacchierata, mentre ci salutiamo, gli arriva sul telefono un messaggio vocale di Jasmine Paolini, l’azzurra numero 7 del mondo. Senza farmi notare allungo l’orecchio: “Mi dispiace Ubaldo, dobbiamo rimandare l’intervista in vespa. Oggi pomeriggio ho fisio”.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento