«Gli Stati uniti hanno chiesto alla Cina di esercitare la propria influenza». Un ritornello ormai sempre più ricorrente negli ultimi tempi. E che testimonia il maggiore ascendente diplomatico di Pechino a livello internazionale. Prima il teorico destinatario dell’influenza cinese era la Russia sulla guerra in Ucraina, poi l’Iran sulla polveriera del Medio oriente e la Corea del nord sulle rinnovate tensioni nella penisola coreana. Stavolta tocca agli Houthi, che con le loro azioni sul mar Rosso stanno mettendo a repentaglio la sicurezza di una rotta commerciale a dir poco cruciale. E così, secondo il Financial Times gli Usa avrebbero lanciato un appello alla Cina per provare a convincere il gruppo ribelle yemenita (molto vicino a Teheran) a sospendere gli attacchi.

Oltre ai contatti ufficiosi, John Kirby, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, ha dichiarato che Washington «accoglierebbe con favore un ruolo costruttivo da parte della Cina, utilizzando l’influenza e l’accesso che sappiamo avere per contribuire ad arginare il flusso di armi e munizioni agli Houthi». Discorsi in tal senso sarebbero stati avanzati dal segretario di Stato Antony Blinken durante il suo recente incontro con Liu Jianchao, capo del dipartimento internazionale del Partito comunista che sarebbe in procinto di essere nominato ministro degli Esteri durante le “due sessioni” di marzo. Lo stesso Liu è stato peraltro in Iran a dicembre, prima del recente peggioramento dell’escalation.

La sensazione è però che la Cina non sia desiderosa di entrare in un ginepraio dal quale sinora ha saputo tenersi al di sopra, tanto da officiare il riavvio dei rapporti diplomatici tra Arabia saudita e Iran lo scorso anno, favorendo poi l’ingresso di entrambe nei Brics. Detto questo, non tragga in inganno l’intervista al quotidiano russo Izvestia di Mohammed al Bukhaiti, ufficiale Houthi, che qualche giorno fa affermava che sono a rischio solo le navi di Usa e Regno unito, mentre quelle di altri paesi «tra cui Cina e Russia», il trasporto marittimo nella regione non sarebbe in pericolo. «Siamo anche pronti a garantire il passaggio sicuro delle loro navi nel mar Rosso», ha aggiunto al Bukhaiti.

In realtà, gli effetti delle tensioni si stanno facendo sentire eccome anche sugli esportatori cinesi. Secondo la Reuters, il costo di spedizione di un container dalla Cina verso l’Europa è più che raddoppiato nel giro di un mese e mezzo, passando da tremila a settemila dollari. Pechino teme poi che la crisi dal mar Rosso possa avere anche un effetto collaterale molto pericoloso: l’accelerazione della strategia di riduzione del rischio dei paesi occidentali e del tentativo di “accorciare” le catene di approvvigionamento portandole più vicine a casa.

Ecco perché non è da escludere che la Cina possa provare a muoversi, seppur sottotraccia. Certo, mantenendo come sempre un bilanciamento. Ieri il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin si è detto «profondamente preoccupato» e ha chiesto di «fermare le molestie alle navi civili» e sostenere «congiuntamente la sicurezza delle rotte marittime». Allo stesso tempo, non ha risparmiato critiche a Washington, collegando il mar Rosso a Gaza. «È importante sottolineare che l’acuirsi delle tensioni è una manifestazione delle ripercussioni del conflitto di Gaza”. E «poiché il consiglio di sicurezza delle Nazioni unite non ha mai autorizzato alcun paese a usare la forza contro lo Yemen, la sovranità e l’integrità territoriale dei paesi che si affacciano sul mar Rosso dovrebbero essere rispettate». Insomma, parafrasando: l’instabilità è anche colpa vostra.