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Honorée Fanonne Jeffers, una terra divisa dal colore

Honorée Fanonne Jeffers, una terra divisa dal coloreGarry Winogrand, Senza titolo (New York), 1960

Scrittrici statunitensi Dedicato a W.E.B. Du Bois, il debutto al romanzo della poeta afroamericana è una contro-storia romanzesca della formazione degli Usa: «I canti d’amore di Wood Place», da Guanda

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 18 settembre 2022

«Il problema del Ventesimo secolo è la discriminazione sulla linea del colore»: suona così una delle affermazioni più note dello studioso afroamericano W.E.B. Du Bois, autore di una serie di opere ancora oggi fondamentali attorno alla questione nera statunitense, e partecipe in prima persona delle lotte per i diritti civili che culminarono negli anni Sessanta del Novecento. Du Bois si formò nella storica università nera del Sud, la Fisk di Nashville, per poi spostarsi a Harvard, dove, fra difficoltà economiche e le inevitabili resistenze strutturali di un New England ancora largamente segregato, divenne nel 1895 il primo afroamericano a ottenere un dottorato. Accademico metodico e rigoroso, Du Bois accompagnò alla sua attività di ricerca storica ed etnografica una passione viscerale per la musica da quando, bambino, ascoltava i canti di lavoro e i blues del meridione statunitense, terra segnata dal dolore e dalla violenza razzista, ma anche dalla strenua resistenza degli afroamericani che, nonostante tutto, continuavano a far coincidere quei confini con ciò che chiamavano «casa». In quella che è forse la sua opera più nota, Le anime del popolo nero, Du Bois fa precedere ogni capitolo da versi presi dalla tradizione canora nera: «strani», luttuosi canti di dolore ascoltati come «la più meravigliosa espressione dell’esperienza umana» e «l’unica musica autenticamente americana».

Personaggi numerosissimi
A lui si richiama esplicitamente la scrittrice afroamericana Honorée Fanonne Jeffers, scegliendo di titolare il suo tanto voluminoso quanto straordinario romanzo di debutto The Love Songs of W.E.B. Du Bois, reso da noi come I canti d’amore di Wood Place (traduzione di Alba Bariffi, Guanda, pp. 835, € 22,00). Sin dall’inizio l’omaggio al grande studioso si manifesta tanto nel taglio storico quanto nell’attenzione alla dimensione sociale in cui vengono inseriti i numerosissimi personaggi, disegnando una prospettiva che va dall’America del Diciottesimo secolo fino ai giorni nostri. «Noi siamo la terra, il suolo», scrive in apertura Jeffers, impostando immediatamente la sua focalizzazione dal basso, che si proietta sulle vite più autenticamente, e drammaticamente, plasmate dalla terra in cui sono cresciute. Nell’attenzione alle dinamiche e all’evoluzione della geografia umana che hanno portato alla formazione degli Stati Uniti (e in particolare degli Stati Uniti del sud a cui il romanzo è votato) è evidente la volontà di raccontare una contro-storia della nazione: ne sono protagonisti coloro che vi hanno vissuto prima come uomini liberi, poi come minoranza vittima del colonialismo occidentale e di un genocidio sistematico; e coloro che sono partiti in catene e approdati dall’altra parte dell’oceano per lavorare come schiavi. Il nome di Jeffers si aggiunge dunque a quello di altre autrici Native e afroamericane – Linda Hogan, Louise Erdrich, Jesmyn Ward, Natasha Trethewey – che con le loro opere hanno apertamente sfidato le narrazioni storiche dominanti per offrire al pubblico una ricostruzione dell’epica americana dal loro punto di vista: soggetti marginalizzati e brutalizzati.

Romanzo dall’impianto sofisticato, I canti d’amore di Wood Place alterna passato e presente attraverso capitoli che si intrecciano in maniera sempre più fitta, saldandosi per ricostruire in dettaglio la storia di una famiglia (nelle cui vene scorre sangue Nativo americano, scozzese e africano) e della fattoria che ne ospita le vicende per più di due secoli. Se il nome di Wood Place nella traduzione italiana sostituisce quello di Du Bois originariamente presente nel titolo, perdendo un riferimento fondamentale, al tempo stesso sottolinea però l’importanza cruciale del luogo che è il centro narrativo attorno al quale gravita questa estesa saga familiare. Wood Place è tanto uno spazio dell’anima quanto il precipitato dell’eredità traumatica della schiavitù e delle requisizioni territoriali di cui furono vittime i Nativi Creek, all’epoca residenti (anche) in quella che sarebbe poi diventata la Georgia, baluardo dell’ethos confederato incarnato da un altro famigerato possedimento letterario di questo stato: la Tara di Via col vento, sineddoche del revisionismo storico bianco-suprematista di cui il romanzo di Mitchell resta ancora oggi uno degli esempi più significativi.

Genealogie meticce
Opposto simbolico e retorico di Tara, Wood Place serve all’autrice per tuffarsi nel passato, ricostruendo attraverso gli strumenti della finzione le genealogie meticce dei personaggi, e riportando allo stesso tempo alla luce scampoli di cronache americane ormai sepolte sotto le stratigrafie artificiose del dominio e della propaganda. L’operazione è apertamente ispirata a quella di un’altra grande intellettuale e storica afroamericana, Saidiya Hartman, la cui critical fabulation («affabulazione critica») è finalizzata a riempire i vuoti inevitabili nelle storie di chi è stato forzosamente strappato alla propria terra e alla propria famiglia. Applicando liberamente l’intuizione di Hartman (adoperata invece in maniera più sistematica nella precedente raccolta di poesie The Age of Phillis, dedicata alla prima poetessa afroamericana Phillis Wheatley), Jeffers porta progressivamente alla luce le complesse dinamiche storiche, politiche e culturali che fanno da sfondo alla nascita della protagonista, Ailey Pearl Garfield, una brillante e turbolenta ragazza nera alle prese con la definizione della propria complessa identità.

L’affermazione di Du Bois sulla linea del colore quale «problema del Ventesimo secolo» è particolarmente adatta a descrivere questo processo di comprensione e accettazione: le origini multietniche della famiglia Garfield impongono ai suoi membri una serie di sottili gerarchie basate sulla scurezza della pelle, solo in apparenza meno intrusive di quelle più ampie ed evidenti del razzismo sistemico. Attraverso la voce riottosa di Ailey, il lettore non soltanto viene messo a parte del difficile apprendistato alla vita della giovane nell’America del Ventesimo secolo, ma, grazie alle frequenti digressioni e ai numerosi racconti dei membri della sua famiglia allargata, viene portato a traversare l’intera storia afroamericana del Novecento: dall’epoca delle leggi segregazioniste Jim Crow, alle lotte per i diritti civili, fino al confronto con questioni più contemporanee, accennate nei riferimenti puntuali alla Critical Race Theory.

Ripetutamente evocato nelle numerose epigrafi tratte dalle sue opere, il fantasma di Du Bois si affaccia a invadere discretamente la formazione sentimentale e culturale di Ailey. Anche la ragazza si iscrive a un college storicamente nero del Sud, come suo padre prima di lei, formatosi alla Mecca University, nella realtà la Howard University, alma mater di alcuni dei più importanti scrittori neri del Novecento, tra cui Paul Laurence Dunbar, Zora Neale Hurston e Toni Morrison.
Epica al femminile ma anche trattato storico-sociologico diluito in un romanzo dall’ambizione enciclopedica, I canti d’amore di Wood Place è un’opera fortemente cosciente della dimensione culturale nella quale si iscrive con forza, come a sovrastare il coro di voci maschili e bianche dalle quali quella stessa dimensione è stata plasmata e deformata.

L’esempio di Du Bois torna anche nella scelta di presentare in forma di «canti» le sezioni del libro ambientate nel passato, dove il tono battagliero della protagonista lascia il passo a una voce più lirica, rarefatta pur nella durezza delle vicissitudini descritte, e dove si palesa la formazione poetica dell’autrice. È dal canto degli avi che Jeffers trae la sua forza narrativa, dall’intonazione di quelle voci spettrali che tornano con la propria eco a dimostrare, come in aperto rifiuto dell’eterno presente implicito nella retorica individualista americana, le trame del passato (e soprattutto quelle di un passato negato) contribuiscano in maniera fondamentale alla definizione dell’attualità.

Ricerca storica e immaginazione, scrittura e voce, vita privata e senso della comunità sono i nuclei attraverso i quali il romanzo si muove fluidamente e con sapienza, riallacciandone l’ordito con l’ambizione di creare un’opera la cui prospettiva comprenda gli spazi che separano l’oggi dalle sue origini perdute e dalle incertezze del futuro. Jeffers scava nella terra rossa del Sud per recuperare le storie che lì hanno trovato sepoltura nell’avanzare dei secoli, dando vita nuova alle ombre degli antenati per ribadire l’esistenza di culture e identità rese troppo spesso invisibili. I canti d’amore di Wood Place nasce dal paesaggio e su questo cresce e si radica, trasformando le canzoni di dolore di Du Bois in inni di un amore tormentato ma inestinguibile.

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