Harold Fisk, i meandri vorticosi del Mississippi
Alias Domenica

Harold Fisk, i meandri vorticosi del Mississippi

Cristalli liquidi Quindici tavole colorate assieme a numerose illustrazioni in bianco e nero, fotografie, grafici e prospetti di numeri incolonnati: il Mississippi secondo l'artista e geologo statunitense

Pubblicato circa 3 ore faEdizione del 20 ottobre 2024

Il disegno mi colpisce prima di capire che si tratta di una mappa. A essere cartografati sono i meandri del Mississippi e non un territorio come induce a pensare il riflesso culturale di chi vive (su) una terraferma conquistata nel corso dell’evoluzione.

La mappa continua a colpirmi anche quando apprendo che è assente qualsiasi intenzione e finalità artistiche.

Accade spesso che un’illustrazione scientifica, nata per visualizzare un fenomeno osservato o un’ipotesi di lavoro, assuma un valore estetico al di là dell’informazione che veicola e in cui trova la sua ragione d’essere. Al punto da essere disponibile nei negozi on line di poster e wall art stampate on demand per, cito da un sito, «una splendida esposizione nel tuo salotto o studio. È anche un meraviglioso complemento alla stanza di un bambino in quanto poster didattico vintage».

Ma queste illustrazioni scientifiche circolano ormai anche nei musei d’arte; è il caso della mappa in questione, esposta alla mostra Nous, les fleuves al Musée de confluences di Lione nel 2023.

Realizzata in tre anni da Harold N. Fisk, cartografo e geologo per la U.S. Army Corps of Engineers, è estratta dal suo rapporto Geological Investigation of the Alluvial Valley of the Lower Mississippi River (1944), parte di quindici tavole colorate assieme a numerose illustrazioni in bianco e nero, fotografie, grafici e prospetti di numeri incolonnati.

Grazie alle fotografie prese dall’alto, diventava allora possibile realizzare mappe topografiche e planimetrie del fiume. Alla confluenza di storia e geografia, le tavole di Fisk mostrano in dettaglio la valle inferiore del Mississippi e i suoi corsi, di cui alcuni risalenti a migliaia di anni fa.

Raccogliendo un corpus importante di dati geografici e geologici, carotaggi inclusi, sulla valle del Mississippi, Fisk contribuisce allo studio del terreno, del deposito di sedimenti dragati dal letto del fiume; permette così di comprendere la subsidenza, ovvero il progressivo sprofondamento del fondo di un bacino marino, e l’erosione fluviale, al fine di proteggere le terre dalle inondazioni.

Se i risultati servono anzitutto scopi militari (non dimentichiamo che siamo in piena guerra) e industriali (l’estrazione di gas naturale e petrolio), ma anche agricoli e urbanistici, nel complesso questo rapporto scientifico offre un ritratto geologico del fiume in quanto entità vivente e mutevole che risale agli inizi del Pleistocene (due milioni e mezzo d’anni fa).

Grazie al suo aspetto visionario, è facile associarlo al récit autobiografico di Mark Twain (Life on the Mississippi, 1883) o al racconto radiofonico per bambini che Walter Benjamin consacra all’inondazione del Mississippi del 1927 – una catastrofe per giovani coscienze.

Per chi non conosce i dettagli del rapporto da cui sono estrapolate, le mappe di Fisk affascinano per il ritmo sinuoso e vorticoso dei meandri del fiume, vivacemente restituiti dall’uso del colore. Meandri che mostrano la zona ripariale e la pianura alluvionale che associamo difficilmente a un corso d’acqua.

I fiumi anatostomizzati, ovvero costituiti da più canali interconnessi, sono stati rettificati dalla mano dell’uomo fino a diventare – nel paesaggio idraulico, sulle carte come nella nostra immaginazione – delle rettilinee.

Recuperare la fluidità è decisivo oggi che, davanti a piene e siccità, s’impone una nuova gestione delle risorse idriche e un governo dell’acqua se non una vera e propria water literacy.

«Noi il Tamigi non lo chiamiamo fiume, la chiamiamo storia liquida»John Burns, 1921

Al riguardo mi tornano in mente le parole dello storico John Burns in risposta a un americano che dileggiava la dimensione del Tamigi rispetto a quella dei grandi fiumi come il Mississippi: «Noi non lo chiamiamo fiume, la chiamiamo storia liquida». Pronunciata nel 1921, l’ipotesi non ha perso d’attualità.

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