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Honduras, ultimo golpe nel paese dell’assurdo

Honduras, ultimo golpe nel paese dell’assurdoSostenitori della presidente Xiomara Castro festeggiano fuori dal Congresso – Ap

Honduras Parte in salita l’avventura della presidente Xiomara Castro: 18 suoi deputati passano con il «narcogoverno» di Hernández. Intervista a Miriam Miranda, leader del popolo garífuna: «L’Honduras è il perfetto laboratorio politico per quella strategia internazionale neofascista mirata a scongiurare che i popoli assumano le redini del proprio destino»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 27 gennaio 2022

Per Xiomara Castro, che oggi inizierà la sua avventura alla guida dell’Honduras, la cospirazione messa in atto dalla destra e da un gruppo di deputati del suo stesso partito potrebbe essere solo un antipasto di ciò che verrà. È stato proprio alla vigilia dell’insediamento della presidente più votata della storia del paese che 18 deputati di Libre (Libertad y Refundación) si sono alleati con il narcogoverno del presidente uscente Juan Orlando Hernández per eleggere alla guida del Congresso una giunta direttiva diversa da quella prevista dall’accordo tra Castro e il suo vice Salvador Nasralla.

La conseguenza è che il paese ha ora due congressi: uno guidato da Luis Redondo del Partido Salvador de Honduras di Nasralla, che ha incassato 48 voti, e l’altro presieduto dal fuoriuscito di Libre Jorge Cálix, che ne ha raccolti 82. Senza contare che, dopo l’espulsione dei 18 traditori, il gruppo parlamentare di Libre è ora composto solo da 32 deputati su 128.

Della crisi in atto e delle prospettive future abbiamo parlato con Miriam Miranda, nota leader del popolo garífuna, gruppo etnico di origine mista indigena e africana duramente perseguitato sotto il governo di Joh, e coordinatrice di Ofraneh (Organización Fraternal Negra Hondureña).

Come interpreta l’attuale crisi parlamentare?

Il narcogoverno che ha spinto il paese nella peggiore crisi della sua storia cerca ancora una volta di mettere in scacco la precaria democrazia esistente in Honduras, presentandosi come «garante della democrazia e della governabilità». Viviamo nel paese dell’assurdo. La corruzione e il tradimento dei 18 deputati di Libre è parte di una catena di colpi di stato iniziata nel 2009 con il rovesciamento di Zelaya e proseguita con il «golpe tecnico» contro la Corte suprema di giustizia nel 2012, quando sono stati destituiti quattro dei suoi cinque giudici, e con il golpe elettorale del 2017, quando è stata scippata la vittoria a Salvador Nasralla. Dodici anni di narcodittatura non si cancellano dalla sera alla mattina. Tanto più che, a partire dal golpe del 2009, l’Honduras è diventato un perfetto laboratorio politico per quella strategia internazionale neofascista mirata a scongiurare che i popoli assumano le redini del loro destino e a distruggere lo stato di diritto.

Rientra in questa strategia la creazione delle cosiddette città modello?

Uno «Stato fallito» come il nostro offre le condizioni ideali per gli investitori stranieri, che hanno trovato la porta spalancata grazie a una serie di leggi con cui il governo ha ceduto sovranità, territori, vita stessa del popolo honduregno. Il piano della narcodittatura per il controllo dello spazio territoriale è passato per la creazione, in aree potenzialmente ricche di biodiversità, di città modello o zone speciali di sviluppo (Zede), sottoposte a un regime diverso da quello statale. È un’ulteriore e più estrema legittimazione del modello di appropriazione delle risorse del territorio da parte del capitale multinazionale, con il pretesto di promuovere un presunto sviluppo e di creare posti di lavoro. È la creazione di uno Stato dentro lo Stato.

Il popolo, però, ha detto no a tutto questo. Xiomara Castro può rappresentare la speranza di un nuovo inizio?

In questi 12 anni sono state distrutte le istituzioni democratiche e violati i diritti umani più elementari, a partire da quelli dei popoli indigeni, del popolo garífuna, della comunità Lgbti, in una guerra non dichiarata che ha prodotto, tra l’altro, enormi carovane di migranti in fuga verso il nord, funzionali a un piano di spopolamento dei territori. È per tutto questo che il 28 novembre il popolo (soprattutto giovani e donne) ha voluto cambiare il corso della storia, ponendo alla guida del paese la prima donna presidente dell’Honduras e anche quella in assoluto più votata. Sappiamo però che la mafia che controlla questo paese non cederà facilmente i suoi privilegi, ostacolando in tutti i modi il compito di riscattare la democrazia e recuperare pace e tranquillità. E siamo consapevoli di quanto siano fragili le istituzioni, di quanto siano radicate la corruzione e l’impunità e diffusa la compravendita di volontà e coscienze.

Qual è la situazione del popolo garífuna?

Siamo stati tra i più colpiti durante la pandemia, per la difficoltà ad accedere al servizio sanitario e il collasso del sistema di salute. Ma siamo anche tra le principali vittime dell’attuale modello di appropriazione delle risorse del territorio, soffrendo la persecuzione e la criminalizzazione da parte di un sistema di applicazione della giustizia razzista, classista e discriminatorio. Solo negli ultimi cinque anni sono stati assassinati più di 50 nostri leader. In questi 12 anni abbiamo dovuto fronteggiare il piano genocida del narcogoverno per farci scomparire come popolo, ma abbiamo resistito e lottato, a partire dal basso, dalle nostre comunità, perché crediamo nel nostro diritto a un futuro migliore e vogliamo creare condizioni di vita diverse per le generazioni che verranno.

Cosa vi aspettate dal prossimo governo?

Chiediamo la cancellazione delle leggi e dei decreti imposti dal Congresso dopo il golpe del 2009, una moratoria sull’estrazione di idrocarburi e sullo sfruttamento delle risorse dei boschi e dei fiumi, l’abbandono di un modello di sviluppo basato sull’espansione delle piantagioni di palma da olio e su progetti di turismo di enclave. Vogliamo che sia garantito il pieno rispetto dei diritti ancestrali del popolo garífuna e dei popoli indigeni, fermando la persecuzione e la criminalizzazione dei difensori della terra. Ed esigiamo il compimento immediato delle sentenze con cui nel 2015 la Corte interamericana per i diritti umani ha condannato lo Stato per la violazione del diritto di proprietà collettiva delle comunità garífuna di Punta Piedra e Triunfo de la Cruz. Sono passati sei anni e non è stato fatto ancora nulla.

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