In Honduras è stato dichiarato lo stato di eccezione dalla presidente progressista Xiomara Castro, che esattamente un anno orsono si era ampiamente affermata alle elezioni, ereditando il paese più povero del subcontinente latinoamericano (insieme al Nicaragua e dopo Haiti), convertito in narco-stato dal suo predecessore Juan Orlando Hernandez (ora estradato negli Usa).

L’obiettivo del provvedimento, che limita diverse garanzie costituzionali, è arginare le pandillas giovanili che imperversano in particolare nelle periferie della capitale Tegucigalpa e a San Pedro Sula sulla Costa Atlantica. E che ne fanno uno dei paesi più violenti al mondo “in tempo di pace”. Nello specifico Xiomara si propone di combattere le estorsioni sistematiche (persino giornaliere) a piccole e medie attività commerciali che portano le bande al pieno controllo dei quartieri meno abbienti.

Il “la” è stato dato da una protesta dei trasportatori e dei taxisti, prime vittime del fenomeno, cui si lega pure lo spaccio. Chi non paga rischia la vita o la violenza su qualche donna della famiglia, nella più totale impunità. Bande che, insieme alla miseria, sono il motivo che fa dell’Honduras un paese ad altissimo tasso di emigrazione verso il fatidico “norte”.

La criminalità giovanile organizzata si è poi ulteriormente espansa in Honduras per la fuga dei pandilleros dal confinante El Salvador, dove lo stato di eccezione vige già dallo scorso marzo, proclamato dal giovane presidente Nayib Bukele, che da allora ha incarcerato oltre 60mila giovani (compresi un migliaio di 12enni, sentenziabili fino a dieci anni).

Il governo salvadoregno ha disposto la scorsa settimana la Quinta Fase del Piano per il Controllo Territoriale con un irrigidimento delle misure che dispongono ora l’«accerchiamento di interi territori» ad opera dell’esercito (che è stato rinfoltito da 14mila nuovi effettivi) per «estrarre – recita il decreto – gli ultimi pandilleros rimasti». Il che ha provocato la denuncia di Amnesty International per «la repressione e le detenzioni arbitrarie». Polizia e militari hanno una sorta di target di arresti da compiere ogni giorno. Naturalmente Nayib ha dovuto disporre l’immediata costruzione di nuove gigantesche prigioni. Mentre alla stampa ha proibito di dare informazioni sulle bande pena condanne fra i dieci e i quindici anni.

Visto il relativo successo dell’iniziativa, che non risolve certo le cause strutturali della disperazione delle giovani generazioni dell’istmo centroamericano, ma dà un po’ di sollievo alla vita quotidiana delle popolazioni (altrettanto povere e disperate) vittime del fenomeno, Xiomara Castro ha dunque deciso di seguire le orme di Bukele.

Sono storicamente due le pandillas che infieriscono in Guatemala, Honduras ed El Salvador: la Mara Salvatrucha (o MS 13) e la Barrio 18; come se non bastasse costantemente in lotta fra loro al prezzo di ulteriori morti ammazzati. Sono nate entrambe a Los Angeles diffondendosi in altre città della California, meta dell’emigrazione di massa centroamericana che fuggiva dai conflitti degli anni ’80. Lì hanno via via avvicendato le bande dei quartieri neri, sorte già dopo la seconda guerra.

Il loro trapianto nei paese d’origine ha preso il via l’ultima decade dello scorso millennio, con la deportazione forzata dei mareros che avevano scontato la pena negli States. Inserendosi così in un’America Centrale di paesi freschi di guerre civili e ricolmi di arsenali di armi.