Internazionale

Honduras al voto: la triste scelta tra trafficanti e corrotti

Honduras al voto: la triste scelta tra trafficanti e corrottiLa candidata presidente Xiomara Castro del Partido Libertad y Refundación durante un comizio a San Pedro Sula – foto Ap/Delmer Martinez

Centro America Domenica il narco-Stato elegge il nuovo presidente. Zero previsioni: sondaggi inaffidabili. Campagna insanguinata: uccisi 30 candidati al parlamento e ai municipi

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 27 novembre 2021

Non sarà affatto agevole per gli osservatori elettorali della già non particolarmente affidabile Organizzazione degli Stati americani verificare la correttezza delle consultazioni presidenziali che si terranno domenica in Honduras.

E per un semplice motivo: stiamo parlando di un narco-stato a tutti gli effetti (manovrato dai cartelli messicani) che garantisce impunemente il transito della cocaina oltre che il lavaggio di una fetta dei suoi proventi.

Basti pensare che Tony Hernandez, fratello del presidente uscente Juan Orlando (al governo dal 2013 per il Partido Nacional), si è visto affibbiare l’ergastolo negli Stati uniti per narcotraffico nel marzo scorso. Mentre lo stesso Juan Orlando è da anni nel mirino della antinarcotici Usa.

PER NON PARLARE poi di uno dei favoriti alla vittoria (tra la dozzina di candidati alla guida del paese): l’impresario Yani Rosenthal, segretario del Partido Liberal, condannato in passato a tre anni negli States per riciclaggio di narcodollari.

E dire che l’Honduras, tra i paesi dell’istmo centroamericano, è quello che più di ogni altro avrebbe mantenuto le caratteristiche storiche di banana republics del «cortile di casa» del gigante del nord.

NEL TRADIZIONALE schema bipartitico honduregno il contendente nacionalista Nasry Asfura non sarebbe direttamente coinvolto nel malaffare, salvo essere chiacchierato per corruzione.

Mentre a fare da terza incomodo (per l’ennesima volta e con scarse possibilità) ci sarà Xiomara Castro, del Partido Libertad y Refundación, moglie dell’ex presidente Manuel Zelaya rovesciato da un golpe civico-militare nel 2009 per essersi collocato nell’orbita dell’allora leader bolivariano Hugo Chavez.

Come stabilisce la legge elettorale locale, le urne esprimeranno il capo dello stato direttamente al primo turno tra chi prenderà più voti. E di sondaggi affidabili alla vigilia non ne sono praticamente circolati. A conferma di come l’Honduras sia privo di una qualsiasi dinamica politica propriamente detta.

La campagna elettorale ha registrato l’assassinio di una trentina di candidati al parlamento e municipali, in un paese dove la criminalità organizzata imperversa al fianco delle maras (bande giovanili). L’essere ambientalista poi è tipificato come uno dei peggiori delitti; basti pensare all’assassinio della giovane militante Bertha Caceres, i cui mandanti sono rimasti nell’impunità.

STIAMO PARLANDO del resto di un paese che contende da sempre al Nicaragua il primato della povertà in America Latina (dopo Haiti). Anche se in quanto a vaccinazione anti-Covid Tegucigalpa raddoppierebbe il 19% di Managua.

D’altronde il Centro America (che ha solennemente celebrato nel settembre scorso il bicentenario dell’indipendenza dalla Spagna) è un po’ tutto precipitato in una disperante deriva antidemocratica che (soprattutto dal presidente Usa Donald Trump in poi) non ha neppure più la valvola di sfogo dell’emigrazione.

CON LA VORACE oligarchia guatemalteca anch’essa impregnata nel narcotraffico. Con El Salvador alle prese del rampante twittero Najib Bukele che, oltre a controllare i tre poteri dello stato, si è avventurato (primo al mondo) a introdurre il bitcoin. Per finire in Nicaragua con l’autarchia della neodinastia del clan Ortega.

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