Hiroshi Okuyama: «Per me lo sport è veicolo di sentimenti»
Cannes 77 Intervista col regista di "My Sunshine", presentato a Un certain regard. Il Giappone rurale col le sue rigidità, la bellezza del paesaggio, un amore inconfessato
Cannes 77 Intervista col regista di "My Sunshine", presentato a Un certain regard. Il Giappone rurale col le sue rigidità, la bellezza del paesaggio, un amore inconfessato
«Il regista che più ammiro in Giappone è Hirokazu Kore-eda, ho già lavorato con lui alla scrittura della serie Makanai e mi ha insegnato molto. Se sono qui a Cannes è perché ho seguito il suo esempio». Non nasconde le sue influenze Hiroshi Okuyama, giovane autore giapponese che abbiamo intervistato a proposito del suo secondo film My Sunshine, presentato nella sezione Un certain regard, di cui ha curato anche sceneggiatura e fotografia. Un lavoro delicato che si nutre di bellezza e silenzi, incentrato sul piccolo Takuya che, un po’ goffo, non riesce a cavarsela bene negli sport scolastici. Fino a quando il coach Arawaka nota il suo sguardo pieno di meraviglia per la giovane Sakura, promessa del pattinaggio su ghiaccio, e decide di farli allenare insieme.
«C’è una sorta di format per i film di sport: all’inizio c’è un protagonista che non è soddisfacente nei risultati, deve quindi superare delle sfide, il suo allenatore lo spinge sempre più fino ad arrivare al traguardo. Ce ne sono già molti di film così, io volevo fare qualcosa di diverso. Di fatto, per me lo sport è un mezzo per mostrare il dramma umano, rappresentato in questo triangolo relazionale, in cui le persone si avvicinano in maniera quasi impercettibile e allo stesso modo si separano» ci spiega Okuyama. Il regista, 28 anni, si era fatto notare con il suo primo lavoro Jesus con cui a soli 22 anni è diventato il più giovane a vincere il premio per i filmmaker emergenti al festival di San Sebastian.
ANCHE QUELLA storia parlava di un bambino immerso nel contesto culturalmente rigido del Giappone rurale. «Ho sempre voluto mettere nelle immagini i miei ricordi d’infanzia e l’immaginazione dei bambini. È stato un periodo della mia vita molto bello, ma il tempo passa, la memoria sbiadisce. Volevo che quei ricordi rimanessero per un tempo più lungo».
Il paesaggio è un elemento fondamentale di My Sunshine, il cui titolo volutamente confligge con la visione invernale dell’isola giapponese su cui si svolge la vicenda. Se nel palazzetto ammiriamo le piroette di Sakura e il tempo sembra fermarsi, fuori c’è il bianco abbacinate restituitoci da una bellissima fotografia che imita la grana della pellicola. «Sono sempre stato affascinato dalla bellezza della neve, e essendo anche direttore della fotografia credo possa essere un elemento importante per il cinema. I fiocchi cadono, la neve si accumula e poi si scioglie. In questo modo volevo mostrare lo scorrere del tempo, senza la necessità di una narrazione aggiuntiva».
È nello spazio di un inverno infatti che i tre personaggi crescono insieme, tra i due ragazzi scorre la corrente di sentimenti forse impossibili da confessare mentre il coach Arakawa si scopre omosessuale, una realtà inaccettabile per la comunità dell’isola che finirà per spezzare il sodalizio tra i tre. «Arakawa non è un coach aggressivo come quelli a cui siamo abituati, è una persona molto gentile, specialmente con i bambini. L’attore che lo interpreta, Sosuke Ikematsu, lo conoscevo già – avevamo realizzato insieme un documentario per Hermès a Parigi – ed è in effetti una persona gentile in maniera genuina».
QUEST’ANNO a Cannes il Giappone è stato molto presente: dalla Palma d’oro allo Studio Ghibli al poster del festival tratto dal film Rapsodia in agosto di Akira Kurosawa, passando per Kore-eda in giuria fino ai film selezionati. «Essendo un regista della generazione più giovane non posso che ringraziare chi è venuto prima di me. Ciò che dobbiamo fare è riportare tutte queste aspettative all’interno dell’industria cinematografica del nostro Paese per dare un contributo ancora più importante», afferma Okuyama.
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