Visioni

Herzog: «Sono sempre stato un irregolare»

Herzog: «Sono sempre stato un irregolare»Werner Herzog

Cannes 70 Incontro con il regista tedesco festeggiato dal pubblico alla Quinzaine

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 19 maggio 2017

«Non ho mai avuto una formula, non credo neanche di aver mai avuto una carriera: sono stato sempre alla ricerca di qualcosa e le idee per i miei film mi sono giunte con veemenza, senza invito, come dei ladri nel cuore della notte». Definisce così il suo cinema e il suo processo creativo Werner Herzog, di fronte al pubblico della Quinzaine des Realisateurs presente all’incontro con il regista tedesco omaggiato quest’anno con la Carrosse D’Or, il premio che prende il suo nome dal film del 1952 di Jean Renoir e che la Societé des Realisateurs de Films conferisce ogni anno a un autore tra coloro che hanno presentato i loro lavori alla sezione indipendente del Festival di Cannes. Prima dell’incontro – condotto dai giovani cineasti Guillaume Brac, Alice Diop e Arthur Harari – è stato proiettato un film del regista scelto dallo stesso Herzog: Il cattivo tenente – Ultima chiamata New Orleans, presentato in concorso al Festival di Venezia nel 2009. Un ricordo va all’amico attore Klaus Kinsky, da cui Herzog dice di aver appreso: «Come riuscire a essere terrificante senza urlare o avere un’arma».

Ai suoi giovani colleghi sul palco il regista offre invece un consiglio per il loro futuro: «Per stroncare un pettegolezzo inventatene uno ancora più assurdo». Renoir diceva che è sempre meglio ambientare le proprie storie: «Nelle vicinanze di casa», ma lei non ha mai girato un film ambientato nella Germania del suo tempo. Ho lasciato il mio paese ma non la mia cultura, per cui credo che tutti i film che ho girato, anche se realizzati in Australia o in Amazzonia, siano profondamente bavaresi. Ma sono contento di non aver mai ambientato le mie storie nella Germania contemporanea, perché ho la sensazione che altrimenti sarei rimasto bloccato negli anni Settanta, come è successo a molti miei colleghi. L’unico che aveva il potenziale per andare oltre era Fassbinder, anche lui profondamente bavarese: nei suoi ultimi film si era molto evoluto, si era distanziato dal pensiero e dal sentimento politico tedeschi. Aveva qualcosa di selvaggio, sembrava quasi un orso selvatico . Inoltre i sogni nei miei film hanno molta più rilevanza e stabilità della realtà stessa. Per esempio le parti del Cattivo tenente: Ultima chiamata New Orleans che restano più impresse sono proprio quelle più folli e selvagge, che nascono dai miei sogni e non erano nella sceneggiatura, come la danza delle iguane».

La cinematografia  di Herzog si compone in egual modo di documentari e film di finzione: «Non faccio una distinzione tra le due cose, perché anche nei documentari vado alla ricerca di qualcosa di più profondo dei semplici fatti, che hanno un potere normativo ma non illuminante: un livello di verità più profondo può essere raggiunto solo attraverso l’immaginazione e la stilizzazione. Molti miei colleghi dicono che per girare un documentario devi osservare la realtà come una mosca su una parete, che nella migliore delle ipotesi per me equivale a essere come una telecamera di sicurezza in una banca in cui non c’è una rapina da dieci anni. Un filmmaker deve piuttosto essere come una vespa che punge lo spettatore. La forma del film non ha nessuna importanza: ciò che conta è l’estasi della verità».

Nei film del cineasta tedesco la ’rivelazione’ passa spesso attraverso la parola: «Tendiamo a esprimere il nostro io più profondo attraverso il linguaggio, ma molto spesso la comunicazione non passa necessariamente attraverso le parole. Un buon esempio sono ancora una volta le iguane che ballano nel Cattivo tenente. Solo il protagonista (il cattivo tenente del titolo interpretato da Nicolas Cage, ndr) può vederle attraverso la sua prospettiva di drogato, i suoi colleghi invece no. Ma anche il pubblico le vede: è come se si instaurasse una cospirazione tra l’audience e le immagini del film. Credo comunque che certe poesie che ho scritto – come quella ispirata dal mio viaggio a piedi da Monaco a Parigi per fare visita a Lotte Eisner – avranno vita più lunga dei miei film. Non perché siano migliori, ma perché spesso le parole stampate durano più a lungo dei lavori cinematografici».

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento