«Per rieducare le bad-hejabì (le mal velate) non basta un seminario di orientamento sul velo con la polizia morale, della durata di due ore. Per far capire a queste ragazze come comportarsi dovremmo farle sposare con dei mullah».

DOPO LA MORTE di Mahsa Amini, aveva esordito così Ansieh Khazali, vicepresidente per gli affari femminili e della famiglia nel governo dell’ultraconservatore Ebrahim Raisi. La proposta era stata subito smentita, ma intanto la vicepresidente era stata criticata perché suo figlio è emigrato in Canada, dove sviluppa software per i VPM Betternet: la nomenclatura della Repubblica islamica manda i figli all’estero, in Paesi reputati nemici di Teheran.

Secondo il sito KhabarOnline che cita Hajer Cenarani, rappresentante in parlamento per la città di Nishabur, «5.400 figli di dipendenti governativi lavorano e vivono in America, Canada e in Europa». A tal proposito il deputato ha chiesto provocatoriamente: «Come potete definire questi Paesi nemici della Repubblica Islamica se poi mandate i vostri figli a viverci?».

Intanto, nelle strade iraniane si continua a morire. In queste cinque settimane sono almeno 23 i minori uccisi e centinaia di altri feriti, detenuti e torturati nella repressione del movimento di contestazione che sta attraversando il Paese.

Un comitato delle Nazioni unite ha fatto appello all’Iran affinché metta fine a queste gravi violazioni. Ed è salito a otto il numero di detenuti morti per soffocamento sabato notte nel famigerato carcere di Evin, a Teheran nord, in seguito a un incendio e a una sparatoria, e ulteriori 61 detenuti sono feriti. In questa prigione sono rinchiusi molti dei dimostranti arrestati nonché prigionieri politici, attivisti, rappresentanti dei gruppi etnici e religiosi,i sindacalisti, ostaggi stranieri e quelli con doppia nazionalità.

Hamed Esmailion

IN SOLIDARIETÀ con le proteste in Iran, sabato 22 ottobre ci sarà una grande manifestazione a Berlino organizzata da Hamed Esmailion, portavoce dell’Associazione Vittime PS752 che rappresenta le famiglie dei morti del volo PS752 delle linee aeree ucraine abbattuto per errore dai pasdaran l’8 gennaio 2020 sui cieli di Teheran poco dopo il decollo.

Le autorità iraniane negarono di avere un qualche ruolo. 176 i morti, molti iraniani e tanti altri iraniani naturalizzati canadesi. Avrebbero fatto scalo a Kiev per tornare in Nord America dopo le vacanze natalizie. Su quel volo, si erano imbarcate anche la moglie e la figlia di Hamed Esmailion.

«Eravamo dentisti e abitavamo nei pressi di Toronto. Nel 2014 mio padre si era ammalato e siamo tornati in Iran. Varcata la frontiera, mi hanno confiscato il passaporto: su Facebook ero stato critico nei confronti della Repubblica islamica. Finii in lista nera. All’inizio del 2020 siamo stati invitati al matrimonio di mia cognata in Canada ma, non potendo uscire dall’Iran, a partire furono solo mia moglie e nostra figlia».

HAMED ESMAILION è tra coloro che hanno lanciato la petizione in cui si chiede al G7 – e quindi ai ministri degli Esteri di Regno unito, Francia, Germania, Italia, Giappone, Canada e Stati uniti – «di esigere in modo deciso e inequivocabilmente il rilascio di tutti i prigionieri di coscienza in Iran, e di dichiarare personae non gratae gli ambasciatori e gli altri rappresentanti del regime islamico nei vostri Paesi, alle dipendenze delle ambasciate o di istituzioni internazionali e chiedere la loro rimozione dagli incarichi in protesta al trattamento illegale e inumano di coloro che protestano in Iran».

La petizione serve a fare pressione, ma cacciare i diplomatici iraniani può essere un’arma a doppio taglio: i vertici di Teheran farebbero altrettanto con la diplomazia occidentale e questo potrebbe danneggiare i manifestanti.

NELLA PETIZIONE si chiede inoltre «ai Paesi del G7 di congelare i beni della leadership iraniana all’estero», sulla falsariga di quanto fatto con gli oligarchi russi. E si chiede di garantire l’accesso a internet agli abitanti dell’Iran: «È assurdo che un Paese possa essere disconnesso dal resto del mondo».

Un intervento militare contro la Repubblica islamica è però escluso dalle richieste degli attivisti: «Ho già perso la mia famiglia in guerra». I vertici di Teheran accusano l’Occidente di interferenze: «Non ha senso, a protestare sono anche le liceali, non hanno legami con Paesi stranieri». Le contestazioni in corso non hanno un leader: «Se la Repubblica islamica dovesse cadere, nella diaspora ci sono persone competenti».