Haiti un anno dopo ancora in piazza contro Moïse
America latina Non cessano le proteste contro il presidente che, per salvarsi, ha peggiorato la situazione prostrandosi ai piedi dell'Fmi e dando il via a megaprogetti di sfruttamento minerario
America latina Non cessano le proteste contro il presidente che, per salvarsi, ha peggiorato la situazione prostrandosi ai piedi dell'Fmi e dando il via a megaprogetti di sfruttamento minerario
È da quasi un anno che ad Haiti, il paese più povero dell’America Latina, vanno avanti le proteste contro il presidente Jovenel Moïse. Era l’autunno 2018 quando il popolo era sceso in piazza in tutto il paese contro la distrazione di oltre tre miliardi di dollari dal fondo di Petrocaribe – il programma solidale lanciato nel 2005 dal governo Chávez per distribuire petrolio all’area caraibica – operata da ministri e funzionari legati in particolare al governo di Michel Martelly, ma anche, secondo alcune accuse, da un’impresa allora amministrata dall’attuale presidente.
Di fronte al rifiuto del governo di prendere sul serio la domanda del paese – «Dove sta il denaro di Petrocaribe?» – la ribellione era di nuovo esplosa il 7 febbraio, nel secondo anniversario dell’insediamento di Moïse, trasformandosi da una protesta anti-corruzione in una rivolta mirata esplicitamente alla rinuncia del presidente, repressa nel sangue.
Ma la popolazione non si è arresa e quattro mesi dopo, il 9 giugno, è tornata in strada con manifestazioni e proteste anche violente in diverse città, a partire da Port-au-Prince. Appena pochi giorni prima la Corte dei conti aveva pubblicato un rapporto di oltre 600 pagine sulla gestione dei progetti – irrealizzati o inconclusi – finanziati dai fondi di Petrocaribe, gettando una luce impietosa sulla gravità dello scandalo.
Si era fatta sentire pure la Conferenza episcopale, puntando il dito contro una corruzione generalizzata diventata «un male endemico» e «una vera piaga sociale».
La richiesta del popolo è sempre la stessa: la rinuncia del presidente e l’arresto di tutte le persone coinvolte nello scandalo, sullo sfondo di una pesantissima crisi economica frutto di decenni di politiche neoliberiste e del saccheggio sistematico condotto da potenze occupanti e da governi fantoccio.
Né il popolo ha gradito la visita, il 19 giugno, di una delegazione dell’Organizzazione degli Stati americani, guidata dall’ambasciatore Usa presso l’Oea Carlos Trujillo, allo scopo di facilitare il dialogo tra il presidente e i settori che esigono la sua rinuncia. Il popolo di Haiti – ha reagito il portavoce della Piattaforma haitiana per lo sviluppo alternativo, Camille Chalmers – «respinge questo atto di ingerenza come qualunque altra soluzione fabbricata a Washington, non accettando che l’Oea venga a dirci quello che dobbiamo fare nei nostri paesi».
Tanto più che, come ha evidenziato il rappresentante della Brigata internazionale di Alba Movimientos ad Haiti, Lautaro Rivara, è soprattutto il sostegno garantito dagli Usa (e da Canada, Ue, Brasile e Argentina) a mantenere al potere il contestatissimo e ormai isolato presidente, che per conservarlo ha dato il via libera a megaprogetti di sfruttamento minerario nel nord del paese, si è genuflesso di fronte al Fmi impegnandosi a privatizzare le ultime imprese statali e si è allineato al fronte anti-Maduro.
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