Dopo oltre 13 anni di attesa si è aperto ieri, in maniera definitiva, il processo sulla strage del 28 settembre 2009 in Guinea Conakry, quando migliaia di persone radunate allo stadio nazionale per esprimere il loro no alla candidatura presidenziale di Moussa Dadis Camara furono brutalmente massacrate dalle forze di sicurezza. Quel giorno, elementi della guardia presidenziale, con gli uomini della gendarmeria e della compagnia mobile di intervento e sicurezza (Cmis) fecero irruzione nello stadio sparando sui manifestanti.

Secondo le testimonianze i soccorritori trovarono centinaia di corpi senza vita e migliaia di feriti disseminati nel prato, sulle tribune e all’interno del cortile dello stadio, mentre le donne furono violentate all’interno del palazzetto dello sport, nei bagni e negli spogliatoi.

Il massacro ebbe una vasta eco internazionale e una commissione di inchiesta dell’Onu indicò che furono «157 le persone uccise, oltre un migliaio quelle ferite e picchiate brutalmente e 109 le donne violentate», reclamando l’intervento della Corte penale internazionale (Cpi) per giudicare Dadis Camara e alcuni suoi ministri per «crimini contro l’umanità».

Undici personalità politiche e militari di alto rango sono state accusate e incarcerate: l’allora capo della giunta militare Moussa Dadis Camara (rientrato nel paese dopo anni di esilio), il suo ex braccio destro Toumba Diakité e Abdoulaye Chérif Diaby, allora ministro della Salute e dell’igiene pubblica, incriminato nel 2012, perché avrebbe impedito ai feriti di ricevere cure negli ospedali pubblici.

Indagini successivamente insabbiate, visto che molti degli imputati hanno avuto un ruolo di primo piano anche durante la dittatura di Alpha Condé, cacciato lo scorso settembre da un successivo golpe militare che ha portato al potere il colonnello Doumbouya.

Dopo 13 anni di indagini e rallentamenti, l’impegno nel «perseguire i responsabili con un processo serio e credibile» si è concretizzato in questi giorni con il rientro di Dadis Camara, posto subito agli arresti, e la realizzazione di una nuova aula di tribunale per soddisfare gli standard internazionali. Vista l’importanza del processo, lo scorso 28 settembre all’apertura, rinviata due volte su richiesta della difesa, erano presenti la Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni unite sulla violenza sessuale, Pramila Patten, e il pubblico ministero della Corte penale Internazionale (Cpi), Karim Khan.

Le autorità vogliono organizzare un processo equo in segno di discontinuità con la passata dittatura di Condé e per rispondere, anche a livello internazionale, alle accuse da parte delle opposizioni politiche che ritengono la gestione della giunta militare di Doumbouya troppo «autoritaria e repressiva».

Proprio per confermare la «credibilità del processo», il tribunale ieri ha deciso di tenere Dadis Camara in prigione per tutta la durata del processo e «di respingere la sua richiesta di arresti domiciliari».

«Questo è il primo processo per violazione dei diritti umani in Guinea Conakry e saremo molto attenti agli standard e allo svolgimento di questo processo che deve essere un monito per dire a coloro che violeranno i diritti umani che esiste una giustizia anche nel nostro paese» ha indicato pochi giorni fa su France24 Mamadou Aliou Barry, direttore del Centro di Analisi e Studi Strategici di Conakry.