L’Ucraina è stata finora sostenuta dall’Unione europea e dagli Stati Uniti. Da loro ha avuto aiuti in armi e in denaro, mentre non vi è stato un impegno sul versante delle trattative, per provare a trovare una soluzione pacifica, per quanto ardua. Dobbiamo dire ardua considerando l’estrema complessità della situazione, dei rapporti tra i due stati e degli interessi geopolitici in campo. 

Di fatto, la Nato e l’Ue sollecitano maggiori sforzi in termini di investimenti sulla difesa comune, ma è anche vero che diversi stati membri si sono mostrati contrari all’idea di inviare soldati sui luoghi del conflitto al fine di contenere l’iniziativa militare russa. 

È noto che da più parti, all’interno dell’Unione, è stato agitato lo spauracchio di un’aggressione, da parte di Mosca, qui a Occidente, e da più parti il problema sollevato è se, in una circostanza come quella menzionata, i paesi dell’Ue sarebbero pronti. Come si vede, l’approccio alla crisi tuttora in atto non è quello della ricerca di una pur difficile soluzione; la parola resta alle armi e a chi prevede che Putin non voglia fermarsi all’Ucraina. Di conseguenza c’è chi ha pensato di proporre il ripristino della leva obbligatoria, laddove già abolita, di mantenerla a maggior ragione, laddove tuttora in vigore, e di estenderla in alcuni casi alle donne. Va comunque detto che per molti non si tratta di una prospettiva granché allettante.  

Secondo dati della Banca Mondiale, il numero dei militari effettivi in Europa è diminuito considerevolmente dal 1989 al 2020 per effetto della fine della Guerra Fredda. Chi pensava che con la caduta dei regimi dell’Est europeo questo paradigma sarebbe venuto meno deve fare i conti con la realtà attuale che vede svolgersi una nuova contrapposizione fra il mondo occidentale e la Russia. Fra questa e gli alleati atlantici. 

La Nato ha deciso di portare, nel 2022, la sua forza di reazione rapida a 300.000 effettivi; di questi, 100.000 risultano essere già pronti in Polonia, come affermato di recente dal vicecomandante delle forze armate polacche, Karol Dymanowski. 

Tornando alla questione “leva sì, leva no”, e considerando i paesi che confinano con la Russia o che comunque sono geograficamente più vicini a essa, vediamo  che Estonia, Lettonia e Lituania hanno il servizio militare obbligatorio per le persone di sesso maschile. L’Estonia non ha mai abolito la leva mentre le altre due repubbliche l’hanno ripristinata dal momento che sentono di essere tra i bersagli più diretti e immediati nel caso di un’avanzata russa.

La Lettonia, in particolare, si è pronunciata ultimamente su tale argomento; infatti, in un’intervista al Financial Times il suo presidente Edgars Rinkevics ha affermato che gli stati europei dovrebbero reintrodurre la leva obbligatoria e incrementare la spesa in ambito militare fino a ricondurla alle cifre della Guerra Fredda. Nello spazio Visegrád succede che la Repubblica Ceca è stata teatro di una proposta riguardante il ripristino del servizio militare o l’istituzione di qualche altra forma di reclutamento. 

La situazione cambia in Ungheria, dove, da due anni a questa parte, Viktor Orbán mostra di avere tra i suoi principali impegni quello di tenere il paese lontano dal conflitto. È noto che il premier ungherese è in buoni rapporti con Putin, di recente ha agitato lo spauracchio di un coinvolgimento diretto della Nato e delle conseguenze nefaste di questa eventualità per l’Europa. Sempre di recente, al suo paese è stata concessa un’esenzione dagli obblighi di solidarietà dell’Alleanza atlantica verso l’Ucraina in cambio di non bloccare le iniziative assunte dagli alleati a favore di Kiev, iniziative che comunque non sono considerate auspicabili dal leader del Fidesz. La Slovacchia di Robert Fico è in questo come in altri ambiti sulla stessa lunghezza d’onda del governo ungherese suscitando la riprovazione di Bruxelles e dei suoi alleati occidentali. Tra le altre cose, Orbán apparirebbe meno interessato di prima a un’adesione del suo partito nell’ECR e starebbe prendendo in considerazione l’ipotesi di farne uno suo che interesserebbe ai polacchi del PiS, evidentemente un po’ delusi dall’ECR , e dove potrebbe trovare posto lo Smer-Sd di Fico. Si vedrà.

Intanto sarà utile precisare che, nel 2022, per effetto del conflitto armato in Ucraina, la spesa militare dei paesi dell’Europa centrale e occidentale ha conosciuto, secondo i dati del SIPRI, un aumento del 13% raggiungendo la cifra di 345 miliardi di dollari. La Polonia è tra quelli che ha investito di più arrivando a quota 11%. Al recente summit di Bruxelles è stata approvata l’agenda strategica per il periodo 2024-2029, tra gli impegni è stato sottolineato quello di aumentare la sicurezza comune con una “solida base economica”. Si parla di un portafoglio di 500 miliardi di euro e di una visione incentrata sull’interoperabilità delle forze armate europee. C’è da sentirsi al sicuro.