«L’esercito russo non è a corto di mezzi letali. Può essere fermato solo con la forza». Lo ha detto il presidente ucraino Zelensky nel suo ormai consueto video notturno di aggiornamenti sulla guerra dopo aver chiarito che in Donbass «la situazione è estremamente grave».

MA COME, gli arsenali di Mosca non erano quasi vuoti? Forse la campagna mediatica che ha orientato le opinioni pubbliche occidentali fino a questo momento in nome del «fallimento imminente del sistema russo» non ha sortito gli effetti sperati a Kiev. E, infatti, nelle ultime settimane i vertici politici ucraini continuano a ripetere che la situazione si sta aggravando. Il che non è pretestuoso, soprattutto se si considera la sanguinosa battaglia per Bakhmut, la perdita di Soledar e i bombardamenti continui alle grandi città del Paese.

A KHERSON ieri almeno due persone sono morte e altre 7 sono rimaste ferite a causa degli ordigni provenienti dall’altra parte del fiume Dnipro. Nel Donetsk l’ennesimo attacco missilistico ha colpito una zona residenziale causando almeno 3 vittime e 14 feriti, secondo quanto ha riferito il governatore regionale locale Pavlo Kyrylenko. Poco più a sud si combatte senza sosta in quello che è ormai stato definito dagli analisti militari un «tritacarne», ovvero un fronte nel quale gli eserciti subiscono perdite umane costanti e consistenti per un obiettivo tutto sommato non decisivo. Ma lo scopo del «tritacarne» è tenere occupata la controparte, impedirgli di spostare le truppe altrove e riorganizzarsi. I politici ucraini si sono dovuti arrendere al fatto che una guerra d’attrito prolungata nel tempo favorisce gli invasori. I quali hanno risorse umane e riserve maggiori e, soprattutto, non dipendono dal supporto di nessuno. Da ciò nasce l’insistenza di Kiev per la fornitura di caccia e missili a lungo raggio.

SENZA LA NATO e l’Ue, invece, l’Ucraina non può fronteggiare il nemico. Non perché alle sue truppe manchi il coraggio o la voglia, ma perché le dotazioni militari di cui dispone sono limitate. Nonostante le continue forniture e il recente annuncio dell’invio di carri armati. La guerra è un’idrovora che fagocita risorse a un ritmo forsennato e il collasso economico è un rischio reale. Il governo di Zelensky lo sa e, malgrado finora abbia contato su tutto l’aiuto che uno stato in guerra può sperare, oggi ragiona in prospettiva. «L’Ucraina ha bisogno di supporto il più rapidamente possibile, se dovesse aspettare fino al mese di agosto o settembre, sarebbe troppo tardi» ha dichiarato Vadym Omelchenko, l’ambasciatore ucraino in Francia in un’intervista alla tv locale Bfm. Omelchenko ha anche chiarito che, a quanto gli risulta, i paesi occidentali forniranno a Kiev 321 carri armati. Ma sappiamo già che gli Abrams statunitensi «impiegheranno molti mesi prima di poter scendere in campo», come ha ribadito ai microfoni della Cnn John Kirby, portavoce della Casa Bianca per la sicurezza nazionale.

INOLTRE, sappiamo anche che alcuni Paesi europei che hanno promesso i Leopard 2, come il Portogallo, ora si trovano nell’imbarazzo di non avere abbastanza mezzi «pronti al combattimento». Altri, come l’Italia, al momento sono impegnati in altre valutazioni. Il nostro paese dovrebbe fornire in accordo con la Francia il sistema di difesa aerea «Samp-T» e secondo il quotidiano d’oltralpe L’Opionion giovedì i ministri degli esteri di Roma e Parigi avevano deciso l’acquisto congiunto di 700 missili Aster-30 da destinare all’Ucraina per un valore complessivo di 2 miliardi di euro. In serata, tuttavia, è arrivata la smentita del ministero della Difesa italiano che ha bollato come «informazioni prive di fondamento» le rivelazioni della testata francese.
Il ministro della Difesa italiano Crosetto ieri è stato anche protagonista di un battibecco sui social network con l’ex presidente russo Medvedev. Questi aveva definito «sciocche» le dichiarazioni di Crosetto sull’invio di tank a Kiev per prevenire l’allargamento del conflitto. Crosetto ha ribadito la sua posizione esortando Medvedev a pensare «di metter fine alla guerra».