Un vertice a Pointe Noire, il principale porto della Repubblica del Congo, ha visto i capi di stato maggiore di quasi tutti i Paesi che si affacciano sul Golfo di Guinea riunirsi per affrontare il tema della pirateria nelle loro acque. Tranne la Liberia e la Guinea Equatoriale, tutti i comandanti delle marine di questo pezzo d’Africa hanno partecipato alla due giorni, “orchestrata” dalla Francia a margine dell’annuale esercitazione militare congiunta nelle acque del golfo, nota come Grand African Nemo.

IL GOLFO DI GUINEA , che si estende dal Senegal all’Angola, è diventato la zona più esposta al mondo alla pirateria marittima e ai rapimenti, superando zone storiche come lo Stretto di Malacca in Malesia o le coste della Somalia. Il capo del governo congolese Anatole Collinet Makosso, citato da Africanews, segnala che la regione ha registrato 195 attacchi navali solo nel 2020 «con mezzi e metodi continuamente rafforzati nel tempo». Secondo un recente rapporto dell’International Maritime Bureau, 130 dei 145 rapimenti marittimi registrati nel mondo nel 2020 sono avvenuti proprio nel Golfo di Guinea e si tratta sempre di rapimenti a scopo di riscatto.

Una metodica ormai molto collaudata come racconta Gilles Chehab, comandante del MICA Center (Maritime Information Cooperation Awareness), responsabile della sicurezza marittima nell’area, sempre ad Africanews: «Partono su piccole e veloci imbarcazioni che possono contenere un massimo di dieci persone con due grossi motori fuoribordo spinti al massimo. Spesso c’è una seconda imbarcazione carica di carburante, così da percorrere lunghe distanze».

NEL CORNO D’AFRICA la pirateria è crollata negli ultimi anni per la presenza massiccia di forze navali che pattugliano quotidianamente queste acque. Effetto in buona parte della “militarizzazione” di Gibuti, dove sono presenti una base francese che ospita contingenti anche di Germania e Spagna, una base Usa usata anche dalla Gran Bretagna, una base cinese, una base giapponese, una base dell’Arabia Saudita e anche una italiana. L’India dovrebbe costruirne presto un’altra. Poi in Eritrea c’è una base degli Emirati Arabi Uniti e a Mogadiscio una grandissima base militare turca.

Invece nel Golfo di Guinea, regione chiave per l’economia di tutta l’Africa Occidentale e per gli interessi delle multinazionali straniere, dato che vi si trovano un quarto delle riserve mondiali di idrocarburi, lo Stato maggiore francese organizza da anni l’operazione Grand African Nemo. Quest’anno la quarta edizione ha mobilitato una quarantina di unità in mare, oltre a sei velivoli, per partecipare alle varie esercitazioni, con lo scopo di «rafforzare la lotta alla pesca illegale, alla pirateria, all’inquinamento marittimo e al traffico di esseri umani».

MA NON BASTA. E allora «serve un’azione comune», ha spiegato ancora il capo del governo di Brazzaville, padrone di casa del summit. Alla fine dell’incontro di Pointe Noire i capi di stato maggiore africani hanno deciso di dividersi le zone di pattugliamento e soprattutto di mettere insieme il lavoro di intelligence per creare una rete di controllo sui movimenti del traffico marittimo nel golfo. Già deciso che il prossimo anno si replicherà.