Appiattire la realtà rassicura, ma diciamocelo: il Medio Oriente vive da decenni enormi trasformazioni. E diciamocelo: i regimi autoritari – ovunque – non sono immuni alle «logiche» economiche globali. Né al capitalismo.

Eppure capita che sui social parta un linciaggio mediatico contro un articolo, pubblicato da Il Mulino, a firma Stella Morgana (ricercatrice che da anni si occupa di Iran, lo frequenta, lo studia), «reo» di aver aggiunto un tassello necessario al racconto della rivolta iraniana: il ruolo della classe operaia e il peso delle diseguaglianze socio-economiche, imputabili a riforme di stampo neoliberista. Il tutto corredato da dati inattaccabili.

Tant’è: a Carlo Calenda (non sappiamo se l’articolo lo abbia letto) sono bastati pochi caratteri («Una vera idiozia») per dare il la a quella parte di opinione pubblica centrista che pensa che il neoliberismo sia sinonimo di libertà e dunque irrintracciabile in paesi autoritari.

E che comunque nulla abbia a che fare con l’allargamento brutale del gap tra ricchi e poveri e con l’egemonia delle élite economiche, oligopoli che spesso coincidono con i repressivi vertici politici.

Eppure quelle trasformazioni (e le conseguenti rivolte mediorientali) sono proprio frutto di politiche neoliberiste: privatizzazioni, tagli dei sussidi, smantellamento di welfare fondativi sono stati realizzati nella Siria baathista nei primi anni 2000; in Palestina dal 2007; nel fu Israele laburista già negli anni ’80; in Egitto, Tunisia, Marocco dopo le primavere arabe, voluti dal Fmi in cambio di prestiti miliardari.

Ma in Italia quella parola non si può pronunciare: il neoliberismo non esiste. E se esiste è solo per portare libertà e uguaglianza.