Parlare di imbarazzante incidente è un eufemismo. In un momento delicatissimo nei rapporti con l’Europa il danno d’immagine è tanto inevitabile quanto grave: lo scostamento di bilancio ha mancato per 6 voti la maggioranza qualificata alla Camera. Servivano 201 voti, se ne sono contati 195. Assenze nella maggioranza ben distribuite tra i tre partiti principali, anche se la Lega guida di un soffio la classifica. Mancavano 45 deputati della destra, solo 18 dei quali giustificati perché in missione o, come la premier, all’estero. Dato che un voto d’opposizione, quello dell’Iv Giachetti, c’è stato, gli assenti ingiustificati sono 28. Giorgetti, uscendo dall’aula sbotta irritato: «I deputati non si rendono conto». Pare che da Londra Giorgia Meloni la abbia presa molto peggio. «Brutto scivolone e brutta figura per noi ma manterremo gli impegni e il timing resta invariato col dl Lavoro approvato in primo maggio»,dichiara.

IL GOVERNO PROVA a superare l’ostacolo di corsa. Il cdm convocato d’urgenza dura esattamente 5 minuti: quelli necessari per modificare la Relazione al Parlamento, sottolineando la centralità del sostegno al lavoro e alle famiglie, senza toccare i saldi. Il testo non può essere riproposto senza modifiche ma intervenire anche di un decimale sulle cifre avrebbe reso inevitabile ripartire da zero e a quel punto varare il nuovo cuneo fiscale il primo maggio sarebbe stato impossibile. Il governo prova dunque a evitare l’incresciosa evenienza con un mezzo trucco, quello della relazione modificata a fronte di saldi identici. Il nuovo testo dovrà essere votato di nuovo, oggi stesso, anche dal Senato, dove pure lo scostamento era passato senza intoppi. Per la prima volta Pd, M5S e Avs presenteranno una risoluzione comune, che comunque non verrà votata dopo l’approvazione di quella del governo.

Elly Schlein
Imperdonabile sciatteria o prova delle divisioni nella maggioranza. Comunque si dimostra una totale inadeguatezza
IMPOSSIBILE DIRE con certezza cosa abbia provocato il guaio ma è molto improbabile che dietro le quinte ci sia una strategia per mettere in difficoltà il governo o una forma di protesta per la decisione di convogliare le pochissime risorse a disposizione sulla riduzione del cuneo fiscale. Più che la politica hanno potuto i due ponti del 25 aprile e del primo maggio, che permettevano ai deputati, con tre assenze, di cumulare 10 giorni di vacanza. «Imperdonabile sciatteria o prova delle divisioni nella maggioranza. Comunque si dimostra una totale inadeguatezza», affonda la lama Elly Schlein. Conte è anche più duro: «Questo governo di incapaci sta creando le premesse per il disastro Italia».

Toni un po’ iperbolici a parte, il leader dei 5S mette il dito nella piaga: le ricadute che la «brutta figura» può avere nella varie trattative in corso con l’Europa. Tutte nevralgiche. Tutte difficili. Perché sul nuovo Patto di stabilità si arrivi a una conclusione ci vorranno mesi, comunque non oltre la fine dell’anno pena il rientro in pieno vigore del “vecchio” patto. Per l’Italia le nuove regole saranno comunque un problema: i piani quadriennali, prorogabili fino a 7anni, che dovranno essere concordati con la Commissione concedono sì un allentamento dei tempi di rientro sul debito ma in compenso la Commissione interverrà a fondo sulle scelte dell’Italia, ai confini del commissariamento e forse oltre. Le procedure automatiche in caso di sforamenti sono una minaccia enorme per un Paese abituato a trattare di volta in volta proprio sui margini di flessibilità e l’obbligo di rientro di mezzo punto percentuale sul debito ogni anno in caso di mancato raggiungimento del 3% nel rapporto deficit/Pil obbliga a un lungo ciclo di totale austerità.

Le cose potrebbero migliorare se la commissione accettasse la richiesta italiana di non contare nel deficit gli investimenti per il digitale e per la riconversione ecologica. Qualche spiraglio c’è, la missione non è impossibile. Ma dall’altro lato c’è una Germania che chiede modifiche di segno opposto, più drastiche sul debito, fino all’obbligo di rientro di un punto ogni anno. In questa complessa ricerca di un equilibrio, la figuraccia di ieri non aiuta. Come non aiuterà nelle trattative sul Pnrr che sono in realtà articolate su più piani: quello per la rimodulazione complessiva del Piano, quello sugli obiettivi in scadenza il 30 giugno ma anche, nei prossimi giorni, quello sullo sblocco della terza rata. La decisione verrà presa domenica e da Bruxelles fanno capire che il via libera non è affatto certo: non si può escludere un altro mese di proroga.

È IN QUESTO QUADRO accidentatissimo che oggi Giorgetti arriverà alla riunione dell’Eurogruppo fresco dello “scivolone” collezionato ieri e, come se non bastasse, deciso a negare ancora la firma dell’Italia alla riforma del Mes. Una di quelle decisioni di bandiera, fatte per fingere di non aver ceduto al rigore su tutta la linea, che rischia di costare carissima.