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Grecia-Turchia, il confine dell’orrore

Grecia-Turchia, il confine dell’orrore – AP /LaPresse

Migranti L’Europa, scrivono i giornali mainstream, non può reggere l’afflusso di un altro milione di profughi come quello del 2015. Ma nessuno si chiede perché la Turchia (un’economia emergente, ma in […]

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 8 marzo 2020

L’Europa, scrivono i giornali mainstream, non può reggere l’afflusso di un altro milione di profughi come quello del 2015. Ma nessuno si chiede perché la Turchia (un’economia emergente, ma in piena crisi) dovrebbe invece poter reggere quello di 3,5 milioni?

Perché è, e solo perché è – questa è la risposta – una dittatura mascherata da democrazia autoritaria. Una dittatura di cui l’Unione europea ha bisogno per tenere in piedi le sue politiche di respingimento; come, su un altro fronte, ha bisogno di affidarne la gestione alle bande dei predoni libici con cui si è alleata. In entrambi i casi, mettendosi nelle loro mani: il «ricatto» di Erdogan è cominciato fin dal giorno della firma del famigerato accordo del 2016 con una Commissione europea perfettamente consapevole delle conseguenze: accettare senza fiatare la feroce repressione dei curdi, dentro e fuori i confini nazionali della Turchia, la presenza militare turca a Tripoli, in difesa del similgoverno con cui l’Italia ha siglato l’accordo sul respingimento dei «suoi» profughi, il sostegno accordato da Erdogan alle milizie jihadiste (altro che lotta al terrorismo!) e la sua occupazione di mezzo Mediterraneo per estrarne petrolio e gas, mentre Italia ed Europa continuano a vendergli armi (la Turchia è pur sempre membro della Nato) e a prestargli soldati per farle funzionare. D’altronde il commercio con la Turchia è florido, la sua manodopera costa poco, soprattutto quando è fatta di bambini dei profughi.

Finché le cose vanno così, dunque, una vera resa dei conti non ci sarà; solo “scaramucce” a spese di decine di migliaia di disperati per ricordare all’Europa chi ha il coltello dalla parte del manico. Intanto, dall’altra parte del confine greco-turco, l’Europa sta facendo mostra della crudeltà e del cinismo sottesi alle sue politiche migratorie. A fare orrore non sono solo le condizioni, peggio che bestiali, a cui condanna i profughi accatastati nelle isole del mare Egeo; né la mano libera lasciata dalla polizia greca ai nazisti di Alba Dorata nelle aggressioni a profughi e volontari; né lo schieramento di soldati, milizie e filo spinato lungo i confini di terra; bensì il fatto che la presidente della Commissione europea, in visita a quei confini abbia definito la Grecia e le sue politiche migratorie «scudo d’Europa», quasi a predisporre una seconda linea di contenimento, se quella turca dovesse cedere.

E infatti, alla faccia dell’austerità, per ora abbandonata solo a parole, l’Unione con la sua agenzia Frontex ora destinano alla Grecia, dopo averla messa alla fame dalla ferocia e dell’ingordigia delle sue politiche economiche, centinaia di milioni e un’intera flotta per rafforzare la difesa dei suoi confini. La politica sovranista, in realtà razzista e ferocemente autoritaria, si è impossessata della governance dell’Unione attraverso il cavallo di Troia delle politiche di respingimento, senza guardare alle conseguenze.

C’è un popolo, oggi di centinaia di migliaia di disperati, ma destinato a crescere proprio a causa delle guerre e della crisi climatica scatenate dai governi e dagli interessi economici dei paesi che non li vogliono accogliere, che si accalca ai loro confini: gente che non poteva restare né può tornare nel paese da cui è fuggita; non può restare nel paese dove l’ha portata finora la sua fuga, che sia la Turchia, la Bosnia, la Croazia o la Libia; non può entrare nei paesi che costituiscono la sua meta e che ovunque viene respinta, maltrattata, attanagliata da fame, freddo e disperazione. Per tutti loro, e per quelli che li seguiranno – questo è il messaggio – non c’è più posto su questa Terra. La conseguenza, che nessuno vuole guardare in faccia, ma che presto si presenterà ai nostri occhi, è che devono essere eliminati.

Si prospetta all’orizzonte, con sempre maggior concretezza, una “soluzione finale, non più affidata a strutture industriali come quelle dei campi di sterminio nazisti, ma, per ora, alla mera decisione di ignorarne le vittime designate.

Fermare questa deriva è sempre più difficile, ma è ora che tutti si rendano conto di quanto è andata avanti in questi anni, di quale sia il suo esito obbligato e, soprattutto, del fatto che la ferocia verso «l’altro» è destinata a ripercuotersi contro di noi.

Perché tutti, e anche noi, possiamo scoprirci «l’altro»: innanzitutto per chi già oggi ci governa o ci domina. Per questo dobbiamo concepire, oggi, per poi prospettare, perseguire e realizzare domani, una vera alternativa. Che non può che partire dal presupposto che in Europa ci può e deve essere posto per tutti (come c’è stato posto «per tutti» dalla fine della Seconda guerra mondiale alla crisi del 2008, quando gli Stati forti dell’Europa, con una diversa politica economica e sociale, assorbivano oltre un milione di migranti all’anno). Prendendo coscienza del fatto che un’accoglienza e un inserimento sociale e lavorativo dignitosi sono premessa e condizione indispensabile anche di una politica di pacificazione e risanamento dei paesi da cui tanti hanno dovuto fuggire e dove molti di loro non sognano altro che di poter fare ritorno.

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