Grano, Lavrov incontra Cavusoglu a Ankara. Ma Kiev non è invitata
Crisi ucraina Il summit per sbloccare le esportazioni sortisce l’effetto opposto. L’Ucraina chiede che sia la Nato a garantire la sicurezza dei porti
Crisi ucraina Il summit per sbloccare le esportazioni sortisce l’effetto opposto. L’Ucraina chiede che sia la Nato a garantire la sicurezza dei porti
Mentre i russi e gli ucraini si scambiano i corpi di alcuni dei propri soldati morti e mezza Europa dell’est approva aumenti di bilancio senza precedenti per le spese militari, sono ancora due le notizie al centro di questa guerra: il grano e il Donbass.
L’incontro di ieri ad Ankara tra il ministro degli esteri russo Lavrov e il suo omologo turco Cavusoglu doveva essere un punto di svolta nello sblocco delle esportazioni di cereali ucraini. Almeno così sperava Erdogan, ormai sempre più calato nel ruolo di mediatore ufficiale tra i due paesi belligeranti. Invece sembra aver sortito l’effetto opposto. Stando a quanto affermano da Kiev, la parte ucraina non era stata invitata a questo summit e come si sperava di risolvere la questione senza una delle due parti resta un mistero.
FORSE ANCHE ANKARA inizia a pensare che l’occupazione russa dell’Ucraina meridionale non sarà una parentesi. Con il porto di Odessa bloccato, il Bosforo diventerebbe uno dei centri più importanti dell’intero Mar Nero e non è difficile credere che i due ministri degli esteri abbiano parlato anche degli scenari post-bellici. Del resto, l’Ucraina non ha accettato il gioco e ha fatto sapere, tramite le parole di Serhiy Ivashchenko, capo dell’Unione Ucraina del Grano, che «la Turchia non ha abbastanza potere nel Mar Nero per garantire la sicurezza del carico e dei porti ucraini». Come se non bastasse, Ivashenko ha rilanciato dichiarando che il suo paese preferirebbe che fossero le navi della Nato a entrare nel Mar Nero e fare da garanti. Per quanto sia evidente che si tratti di una mossa tattica per tentare di coinvolgere direttamente l’Alleanza Atlantica nel conflitto in corso, è chiaro che gli ucraini hanno le loro buone ragioni a diffidare della proposta di Mosca. La Russia sostiene che i porti ucraini devono essere sminati per consentire una navigazione sicura e insiste sul suo diritto di controllare le navi in arrivo per assicurarsi che non portino armi in Ucraina. Kiev, dal canto suo, afferma che sono i russi ad aver piazzato mine marine nell’area e che ci vorranno tre o quattro mesi per rimuoverle. Al di là delle responsabilità, è evidente che l’Ucraina non può permettersi di sguarnire le proprie difese nella zona marittima ancora sotto il suo controllo. Senza contare che Odessa è stata indicata fin dal primo discorso di Putin dopo l’invasione come uno degli obiettivi dell’ «operazione militare speciale». Per questo la logica vuole che Zelensky non abbia tutti i torti a parlare di ricatto quando dal Cremlino dichiarano che il grano potrà essere esportato solo una volta che le acque dei porti saranno libere da pericoli. Si consideri che al momento si stima che 22 milioni di tonnellate di cereali siano fermi nei silos ucraini. Intanto, secondo l’agenzia russa Interfax, ieri il primo treno di 11 vagoni carico del cosiddetto «grano ucraino rubato» sarebbe partito dalla città occupata di Melitopol diretto verso la Crimea.
ANCHE L’ITALIA ha preso parola sulla crisi del grano e le parole del ministro degli esteri Luigi di Maio ieri mattina hanno fatto in fretta il giro del mondo. «Voglio dire chiaramente che ci aspettiamo un segnale dalla Russia perché bloccare le esportazioni di grano significa tenere in ostaggio e condannare a morte milioni di bambini, donne e uomini lontani dal campo di battaglia» ha dichiarato di Maio, aggiungendo che l’aumento dell’insicurezza alimentare nei Paesi in via di sviluppo scatenerà instabilità politica e flussi migratori.
INTANTO DAL FRONTE arrivano ancora notizie drammatiche. Ieri il satellite Maxar è riuscito a immortalare alcune aree della città di Rubizhne, nell’oblast di Lugansk. Il quadro è dei peggiori e il livello di distruzione tremendo. Ricordiamo che il governatore della regione, Sergiy Haidai, aveva parlato di Rubizhne come una nuova Mariupol prima che i russi tentassero la conquista di Severodonetsk. Del resto, la cittadina è stata una conquista fondamentale dal punto di vista strategico data la vicinanza proprio con il capoluogo regionale e la possibilità di bombardare anche con armamenti datati. Da qualche giorno però lo stesso Haidai parla di Severodonetsk come una possibile altra Mariupol, anche se ieri ha aggiunto, forse influenzato dalla nuova linea del presidente Zelensky, che «i combattimenti sono ancora in corso, nessuno abbandonerà Severodonetsk». Secondo Haidai i russi starebbero usando contro la città tutta la propria potenza di fuoco e di mezzi «per cancellarla dalla faccia della terra e catturarla completamente». Tuttavia, ha poi concluso la sua nota all’ Associated Press, con una strana giravolta: «Anche se i nostri militari dovessero ritirarsi, non significherebbe che abbiamo perso la città». Anzi, a essere più specifici, «sì, forse (dovranno) ritirarsi, ma in questo momento gli scontri sono ancora in corso».
A CONCLUSIONE della giornata di mercoledì le fonti ucraine riportano almeno tre morti nei bombardamenti incessanti sui centri del Donbass e altri edifici civili colpiti, tra cui una scuola.
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