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Grano, carestia e propaganda

Grano, carestia e propaganda

Il limite ignoto Delle 87 navi partite dall’Ucraina solo due trasportavano carichi alimentari. Putin minaccia di rivedere gli accordi con Erdogan.

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 8 settembre 2022

«Una truffa per la Russia e per i paesi poveri» ha tuonato ieri Vladimir Putin da Vladivostok a proposito dell’accordo sul grano. Il presidente russo non abbandona la parte poco credibile di difensore degli oppressi e dopo le minoranze russofone ucraine si intesta la lotta contro la fame in Africa. Al Forum economico tenutosi nella città orientale dell’immenso territorio russo, a poca distanza da Corea del Nord e Cina, il leader del Cremlino ha accusato l’Unione europea di utilizzare i cereali ucraini esportati attraverso i corridoi aperti nel Mar Nero per il proprio tornaconto personale. Infatti, delle 87 navi cariche di grano provenienti dall’Ucraina, solo due hanno trasportato grano per il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, ovvero 60.000 tonnellate su un totale di circa 2 milioni. Ma la conclusione di Putin è pura propaganda: la colpa non è né degli ucraini né dell’Ue.

MOLTE DI QUESTE NAVI trasportano carichi già contrattati prima dell’ingresso delle truppe russe in Ucraina. Semmai si potrebbe parlare di mistificazione mediatica. In altri termini, si parlava della necessità di riaprire i porti ucraini per evitare una carestia globale, ma ad oggi la maggior parte delle materie prime che hanno lasciato il Mar Nero erano destinate alla produzione di mangime per animali e all’industria chimica. Il che riguarda un problema strutturale di distribuzione delle risorse alimentari sul pianeta in cui tutti i Paesi ricchi, Russia inclusa, sono coinvolti a prescindere dalla guerra in Ucraina.

Da quando lo scorso 22 luglio Russia, Ucraina, Turchia e Nazioni unite si sono accordate per lo sblocco di alcuni porti ucraini al fine di consentire le esportazioni di cereali, secondo l’Onu 630 mila tonnellate di grano e altri prodotti alimentari sono state immesse nel mercato. Alcuni report dichiarano 451.481 tonnellate di mais, 41.622 tonnellate di grano e 6.000 tonnellate di olio di girasole. L’apertura dei porti ha avuto un effetto immediato, abbassando l’indice dei prezzi alimentari della FAO di quasi il 9% nel mese di luglio. L’Onu è stata tra i principali acquirenti di grano destinato all’uso alimentare, arrivando alla cifra citata da Putin di 60 mila tonnellate. Delle quali una parte significativa, 23 mila, sono sul cargo «Brave commander» destinato all’Etiopia e alla Somalia e attraccato al porto di Gibuti il 30 agosto. Secondo il Programma alimentare mondiale il suo carico sarà sufficiente a sfamare 1,5 milioni di persone con razioni complete per un mese.

TUTTAVIA, «ci sono vergognosi esempi di comportamento scorretto» ha dichiarato Putin, riferendosi ai paesi più ricchi, i quali «non stanno inviando cereali ai paesi in via di sviluppo». Perciò, l’ipotesi di «limitare l’esportazione di grano e altri generi alimentari» attraverso il Mar Nero a su avviso non è inverosimile. Anzi, ha concluso il capo di stato, «mi consulterò sicuramente con il presidente turco Erdogan su questo argomento; dopotutto siamo stati noi a elaborare il meccanismo di esportazione del grano ucraino».

Si potrebbe obiettare senza troppi giri di parole che senza l’invasione dell’Ucraina la crisi alimentare attuale non avrebbe avuto luogo. Tuttavia, c’è un motivo se la comunicazione di Putin ha una qualche efficacia, ovvero i dubbi sul reale impatto dello sblocco dei porti ucraini hanno delle basi fondate.

PARTIAMO da alcuni dati. Secondo un rapporto della Fao del 2019 l’Ucraina esporta il 42% dell’olio di semi di girasole, il 16% di mais, il 10% di orzo e il 9% di frumento di tutto il mercato globale. Il primo importatore di cereali di Kiev, secondo i dati del 2021 di Standard & Poor’s, era l’Egitto, con 3,62 milioni di tonnellate, a seguire l’Indonesia (3.22 tonnellate), il Bangladesh (2.3), la Turchia (1.9) e al decimo posto l’Etiopia con 0.68. Quindi, a parte l’Egitto, il grosso delle esportazioni ucraine già prima della guerra non era diretto in Africa. Ciò non vuol dire, ovviamente, che le 0.76 tonnellate destinate alla Libia o alla Tunisia non fossero fondamentali per l’economia di quei Paesi, infatti proprio a Tunisi si sono registrati aumenti vertiginosi dei prezzi del pane, della pasta e del cous cous che sono parte preponderante dell’alimentazione di grandi fette di popolazione, soprattutto nelle zone rurali.

La Banca di sviluppo africana ha diffuso un report secondo il quale il blocco delle esportazioni dall’Ucraina ha contribuito «alla carenza di 30 milioni di tonnellate di cibo in tutto il continente e a un aumento del 40% dei prezzi dei prodotti alimentari». In Nigeria, ad esempio, ha contribuito ad aumentare il prezzo di prodotti di base come pasta e pane fino al 50%. Lo Yenen, che normalmente importa più di un milione di tonnellate di grano all’anno dall’Ucraina, sta patendo un incremento dei prezzi della farina del 42% e del pane del 25%. In Siria, altro grande importatore di grano ucraino, il prezzo del pane è raddoppiato.

INTERROGATO da Associated Press il Centro di coordinamento congiunto di Istanbul, che vigila sulle esportazioni di grano ucraine dal 22 luglio, ha dichiarato che dei carichi trasportati dalle navi partite dai porti sbloccati il 47% è stato spedito in Asia, di cui il 20% in Turchia, il 36% in Europa e il 17% in Africa, di cui il 10% solo in Egitto e quantità minori in Sudan, Kenya, Somalia e Gibuti.

CON LA GRANDE tempestività che contraddistingue la comunicazione governativa di Kiev, ieri Zelensky ha annunciato su Twitter che il suo Paese invierà «28.600 tonnellate di grano alla Somalia colpita dalla carestia», aggiungendo che «l’Ucraina continua a salvare il mondo con il suo grano». Affermazione altrettanto ridondante, all’estremo opposto, di quella di Putin. Si tenga presente che il corno d’Africa è la regione del pianeta a più alto rischio carestia. La Somalia, in particolare, prima della guerra acquistava il 90% del proprio grano dall’Ucraina e dalla Russia ma, secondo un report pubblicato dall’Onu lunedì scorso, ci sono «indicazioni concrete» che in parte del Paese si verificherà una carestia che colpirà oltre 850.000 persone.

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