Gran Bretagna, l’onda lunghissima degli scioperi
Lavoro e inflazione In Inghilterra, Galles e Scozia il settore pubblico incrocia le braccia. Non si era quasi mai visto nulla di simile
Lavoro e inflazione In Inghilterra, Galles e Scozia il settore pubblico incrocia le braccia. Non si era quasi mai visto nulla di simile
La Gran Bretagna del settore pubblico è a braccia conserte. Dopo l’estate torrida l’autunno si annunciava calduccio e l’onda lunghissima di scioperi che attraversa il paese da mesi lo conferma. In Inghilterra, Galles e Scozia (l’Irlanda del Nord è da quasi un anno senza governo ma quella è un’altra, sciagurata, storia) treni, poste, pubblico impiego e svariate altre categorie sono – o hanno appena annunciato di entrare – in agitazione. Per il salario, condizioni di lavoro, pensioni, e contro i licenziamenti: a un’inflazione che si arrampica a oltre il dieci per cento annuo – un tasso senza precedenti nell’ultimo mezzo secolo – da troppo tempo fanno riscontro stipendi immobili come manichini.
Gli ultimi ad annunciare lo sciopero sono stati i dipendenti governativi del sindacato Pcs (Public and commercial services) che rappresenta i dipendenti pubblici in una pluralità di settori. L’86,2 per cento degli iscritti ha votato a favore dello sciopero, i cui termini saranno resi noti il prossimo 18 novembre e interesseranno centomila persone. Chiedono un aumento di stipendio del 10 per cento, tutele previdenziali e stop ai licenziamenti. Ma l’annuncio storico – perché senza precedenti – era arrivato già mercoledì da parte degli infermieri del Royal College of Nurses: si fermeranno a dicembre pur assicurando un servizio continuativo nei casi di emergenza.
Non sono che gli ultimi sviluppi di una tendenza che riguarda il settore pubblico nel suo complesso da prima dell’estate. Ai marittimi e ai ferrotranvieri e lavoratori delle poste – tuttora in scioperi alternati – si sono uniti i succitati infermieri, i lavoratori della telefonia della Bt, i ricercatori universitari e il personale degli aeroporti. E sono tutti sollecitati dallo scontato annuncio dei piani del governo guidato da Rishi Sunak – ex ministro delle finanze del governo Johnson e subentrato a Liz Truss dopo la fulminea e rovinosa debacle di quest’ultima – di tagliare oltre novantamila posti di lavoro e di ridurre del ventisei per cento le indennità di licenziamento. Assieme all’aumento delle tasse di cui la parte “libertaria” del suo partito (che stava dietro Truss) inorridisce, si tratta di misure “responsabili” per evitare una traiettoria recessiva ormai conclamata.
Non si era quasi mai visto nulla di simile in un paese dove lo sciopero è visto come qualcosa di immorale, peccaminoso quasi, in linea con la ben nota idolatria del lavoro di ascendenza protestante. Ma non è che il risultato di una tempesta perfetta – l’ennesima – risultante dal connubio fra una fase particolarmente isterica del capitalismo globale estrinsecatasi in velleitari separatismi (Brexit), morbilità globale (Covid-19), imperialismi straccioni (invasione dell’Ucraina) e la perniciosa gestione ultradecennale di crisi dopo crisi da parte di una sfilza di governi a guida conservatrice. Che continua a cianciare di crescita come un disco rotto quando l’unica cosa che cresce sono le food bank.
Sunak e la Banca d’Inghilterra, che in linea con i diktat della Fed ha obbedientemente alzato i tassi di interesse rendendo insostenibili i mutui di milioni di persone, evoca lo spettro della cosiddetta spirale prezzi-salari, secondo cui il galoppo da purosangue dell’inflazione sarebbe dovuto all’aumento di salari che sono tutto fuorché in aumento, anzi calano a un tasso negli ultimi vent’anni mai così elevato (secondo l’Office for National Statistics).
Tutto questo avviene naturalmente senza che il partito (laburista?) del legnoso Keir Starmer riesca ad esprimere uno straccio di solidarietà nei confronti delle lotte dei lavoratori per difendere e tutelare i diritti dei quali era nato nel 1900: fenomeno, questo, peraltro consustanziale alla tristezza e pavidità della socialdemocrazia europea nel suo complesso ormai da quasi mezzo secolo. La beffa è che dopo aver accumulato un patrimonio nei sondaggi grazie alla disonestà di Johnson e la cialtroneria di Truss, in Sunak Starmer si trovi di fronte, in buona sostanza, a un clone di se stesso. Sarà che, come ormai succede da tempi non sospetti nelle democrazie liberali, davanti alle politiche sociali ed economiche di centrodestra e centrosinistra perfino lo Ying e Yang del taoismo sembrano in conflitto.
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