«Keir Starmer, questa è per Gaza. Avete pagato e pagherete un alto prezzo per il ruolo che avete svolto nel permettere, incoraggiare e coprire la catastrofe della Palestina occupata nella Striscia». È l’invettiva con cui George Galloway, alfa e omega del Workers Party of Britain, ha salutato ieri il proprio trionfo all’elezione suppletiva di Rochdale, ex-centro di cotonifici nei pressi di Manchester. In palio era il seggio del recentemente scomparso deputato laburista Tony Lloyd.

Da sempre paladino della comunità musulmana britannica, Galloway ha preso il 40% dei voti in totale, circa seimila in più di qualunque altro candidato, e ha surclassato i suoi rivali, compreso il candidato laburista Azhar Ali, travolto da una polemica per dichiarazioni sulla guerra a Gaza bollate come antisemite e scaricato dal partito dopo un imbarazzante quanto strumentale temporeggiamento (all’islamofobia strutturale nei Tories corrisponde un antisemitismo residuale nel Labour, ma quella è un’altra storia). Ali si è classificato quarto, dietro a un indipendente e al candidato Tory.

Quella di Galloway, già lui stesso laburista, espulso nel 2003 e da oltre vent’anni nemesi del suo ex-partito, è una vittoria che Keir Starmer farà finta di non vedere, tanto contrasta con la svogliatezza rassegnata con cui il paese sembra intenzionato a farlo premier alle prossime politiche, stando almeno ai sondaggi. Viste la povertà thatchero-dickensiana innescata dalla deindustrializzazione – che la relega fra il 5% delle amministrazioni comunali più povere nel 2019 – e l’alta componente di cittadini di origine asiatica e di fede musulmana, Rochdale è tradizionalmente un feudo laburista. Ma l’appiattimento di Starmer sulle posizioni invariabilmente filo-israeliane del premier Rishi Sunak hanno alienato il consenso dei britannici musulmani a un partito che ritenevano fisiologicamente il loro. Né basta unirsi al coro – peloso e tardivo – di cessate il fuoco quando si è da mesi alla finestra a guardare scorrere quotidianamente un fiume di sangue, per riconquistarlo.

Ora il settantenne scozzese, un leggendario sobillatore – celebri le sue due visite a Saddam Hussein nel 1994 e 2002 – tornerà in parlamento per la settima volta. «Keir Starmer e Sunak sono due glutei dello stesso fondoschiena e stasera qui a Rochdale sono stati sculacciati tutti e due» ha detto, esibendo il suo ben noto uso criminoso della metafora. Temibile polemista, amante della visibilità mediatica, partecipante a scatologici “reality” show televisivi, il ritorno di Galloway e la prima volta ai Comuni del suo Partito dei Lavoratori promettono una buona dose di fastidi al neo-New Labour che Starmer sta automaticamente ricreando. Un socialismo arrugginito, para-nazionalista e “anti-woke” il suo, che ruggisce contro il condiscendente paternalismo neoliberale sui diritti civili e le sue amnesie programmate su quelli sociali. E che alla fine potrebbe estrarre dai Tories il cosiddetto red wall del Nord, i delusi dal Labour abbindolati da Boris Johnson nel 2019. Lo sa bene lo stesso Sunak, che ieri ha ammonito contro la minaccia dell’ «estremismo» alla democrazia britannica.

L’ex-avvocato dei diritti umani Starmer ricorderà bene quanti danni e irritazione Galloway costò alla sua stella fissa Tony Blair prima e dopo le scorrerie in Iraq, di cui Blair medesimo fu il Francis Drake. Anche per questo ha modellato il suo discorso su quello pronunciato quando vinse a Bethnal Green, East London, nel 2005: «Mister Blair, questa è per l’Iraq. Tutte le persone che hai ucciso, tutte le bugie che hai raccontato, sono tornate a perseguitarti», disse allora.