Benjamin Netanyahu ieri, entro la mezzanotte, era chiamato a comunicare al capo dello stato Herzog di aver formato una nuova coalizione di governo che si annuncia come l’esecutivo più a destra e più religioso della storia d’Israele. Per la lista dei ministri e il giuramento, il premier ha tempo fino al 2 gennaio ma è probabile che si presenterà alla Knesset negli ultimi giorni dell’anno.

Sono passati quasi due mesi dalle legislative e il leader del partito Likud (destra storica), sebbene sia alla testa di un’alleanza che ha conquistato 64 dei 120 seggi della Knesset, ha dovuto usare le ultime ore a sua disposizione per comunicare a Herzog di aver messo insieme una maggioranza composta dal Likud, il partito Sionismo religioso (destra estrema), la formazione Otzmah Yehudit (erede del movimento razzista Kach), i due partiti ultraortodossi Shas e Ebraismo unito nella Torah e il piccolo ma agguerrito partito omofobo Noam. La difficoltà incontrata nella formazione dell’esecutivo evidenzia la debolezza politica di Netanyahu, sotto processo per corruzione e ormai dipendente dall’appoggio dei leader di Otzmah Yehudit e Sionismo religioso, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, che al voto del primo novembre hanno ottenuto un successo senza precedenti.

Smotrich e Ben Gvir hanno preteso e ottenuto dall’ex sovrano incontrastato della politica israeliana, ministeri di eccezionale importanza con l’aggiunta di poteri straordinari che spaventano oltre ai palestinesi sotto occupazione militare, che si preparano a fare i conti con ulteriori misure restrittive e repressive, anche i cittadini arabi di Israele, i settori progressisti e laici della società israeliana e ciò che resta dei partiti del centrosinistra. Interrogativi e ammonimenti sono giunti anche dall’estero, in particolare dalla porzione più progressista della comunità ebraica americana, e hanno fatto irritare parecchio Netanyahu. Appena qualche giorno fa il premier ha respinto con rabbia le accuse del New York Times, giornale storicamente amico di Israele, secondo cui il suo governo mette a rischio la democrazia. «Mentre (il New York Times) continua a delegittimare l’unica vera democrazia in Medio oriente e il miglior alleato degli Stati uniti nella regione, io – ha proclamato Netanyahu – continuerò a ignorare i suoi consigli infondati e a concentrarmi invece sulla costruzione di un paese più forte e più prospero».

I rilievi del New York Times però sono ben fondati. Per soddisfare gli appetiti dei suoi alleati e il rispetto dei patti di coalizione, Netanyahu ha dovuto avviare l’approvazione da parte della Knesset – prevista in via definitiva prima del giuramento del governo – di emendamenti ad alcune leggi. Uno permetterà al leader dello Shas, Aryeh Deri, di diventare ministro malgrado una condanna per frode fiscale, gli altri due doteranno i futuri ministri Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich di maggiori poteri di controllo sulla polizia e la gestione degli insediamenti coloniali in Cisgiordania. All’orizzonte ci sono inoltre riforme volte a minare l’indipendenza della magistratura.