La politica climatica è fallita. Nei vertici sul clima, spesso egemonizzati dalle lobby delle energie fossili, l’attendismo climatico imperversa. Nonostante qualche pallido risultato, stiamo procedendo a passi di lumaca e si fa sempre più largo l’idea che ambientale sia nemico di sociale.

Come accelerare la transizione? Come far sì che diventi effettiva, coniugando il contrasto al surriscaldamento globale, lo sviluppo locale e la giustizia sociale?

Di questi temi si discuterà lunedì 20 maggio al “Circolo dei lettori” di Torino, a proposito del libro Governare il clima. Strategie per un mondo incerto (Donzelli, 2024) alla presenza di uno degli autori, il politologo Charles Sabel, con il co-coordinatore del Forum Diseguaglianze e Diversità, Fabrizio Barca.

La tesi del libro è netta: per affrancarsi dai fallimenti della politica climatica è necessario accompagnare i grandi accordi-quadro, come quelli di Parigi e Kyoto, con processi concreti di collaborazione fra imprese, stato, corpi intermedi e cittadini, allo scopo di facilitare la ricerca e l’investimento su nuove tecnologie di frontiera e rendendo più costoso l’atteggiamento opposto, cioè la rendita e la conservazione. Il messaggio è che se è vero che “il mercato” non ci salverà, allo stesso tempo il necessario ruolo degli Stati e delle istituzioni pubbliche richiede la cooperazione volontaria degli innovatori e il coinvolgimento di chi la transizione non la vuole.

Il cambiamento tecnologico «che serve» per la lotta al cambiamento climatico è legato all’organizzazione dei processi decisionali, dipende dagli interessi e dei poteri coinvolti, dalla capacità di tenere insieme il vecchio certo e il nuovo incerto in un’unica strategia di innovazione.

Al centro del libro c’è la proposta operativa: la governance sperimentalista, un modello che sfugge alla dicotomia oziosa fra centralizzazione e decentramento e grazie a alla quale sempre più attori in tutto il mondo sono spinti a prendersi il rischio di innovare.

La governance sperimentalista va intesa come processo decisionale aperto, insieme (e non in alternativa) al ruolo dell’Autorità pubblica, e che si esplica attraverso sanzioni e regole che spingono le imprese verso comportamenti diversi da quelli che verrebbero seguiti in modo indipendente e isolato.

Ma come cucire l’innovazione con la giustizia sociale e il consenso? A questo scopo, è cruciale promuovere l’adattamento dell’innovazione alle esigenze quotidiane delle persone, delle classi e dei territori, specie di quelli più vulnerabili. Il tutto per far sì che le aspirazioni e i bisogni dei soggetti marginalizzati non entrino in contrasto con le tecnologie/modelli/soluzioni che emergono dalla governance sperimentalista.

Nei processi decisionali che presidiano l’innovazione occorre evitare di riprodurre la frattura tra vincenti e perdenti spesso creata dalle politiche territoriali e, come ben sappiamo, da quelle ambientali.

Il libro di Sabel e Victor è arricchito da una serie di esperienze concrete: l’attuazione del Protocollo di Montreal del 1987 per contrastare l’assottigliamento della fascia di ozono; la riduzione delle emissioni di carbonio in California; il controllo delle emissioni di solfuri negli USA; la riduzione di inquinamento agricolo in Irlanda, e altri ancora.

Al centro dei casi analizzati si trova sempre un’Autorità pubblica credibile (o una rete coesa di autorità facenti funzioni pubbliche) che governa il processo. Un’esortazione per il nostro paese e per chi ancora crede che la stagnazione, il declino e lo sguardo miope della politica istituzionale non siano un destino inevitabile, ma qualcosa da superare il più rapidamente possibile.