C’è un uomo da cui dipendono le forniture di iPhone per Apple. E che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone in Cina. Anche se in passato ha paragonato i suoi dipendenti ad animali» e i diritti all’interno delle sue mega fabbriche sono spesso un miraggio. Ricevuto da Donald Trump alla Casa bianca nel 2019, corteggiato da Pechino per non spostare la sua produzione. A gennaio 2024 potrebbe diventare presidente di Taiwan, o almeno questo è il suo obiettivo.

Se riuscisse a realizzarlo, potrebbe ricoprire un ruolo decisivo nei rapporti tra Stati uniti e Repubblica popolare. L’uomo in questione è Terry Gou, patron della Foxconn, colosso dell’elettronica e primo fornitore di smartphone per Cupertino.

IERI, MENTRE tutti aspettavano l’incontro tra la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker del Congresso Kevin McCarthy in California, Gou è tornato a Taipei dopo un viaggio d’affari di una decina di giorni proprio negli Usa. Alla vigilia, il sospetto era che la visita fosse una scusa per presentare le sue «credenziali» in vista di una candidatura.

Sospetto confermato dalla sua conferenza stampa in un hotel nei pressi dell’aeroporto. «Dichiaro ufficialmente la mia intenzione di provare a ottenere la candidatura con il Guomindang», ha detto, chiarendo subito la sua linea: «La pace non è scontata e le persone devono fare la scelta giusta». Per Gou votare il Partito progressista democratico (Dpp) di Tsai significherebbe guerra: «Dobbiamo dire onestamente ai giovani che è pericoloso votare per il Dpp».

Gou sostiene di essere l’uomo giusto per «risolvere la crisi» sullo Stretto, qualcosa che «i politici tradizionali non sono stati in grado di fare». Avendo rapporti sia con Pechino sia con Washington, si propone come «grande stabilizzatore». Un colosso statunitense come Apple dipende dalle sue forniture. Basti pensare alle ripercussioni delle proteste nel mega stabilimento di Zhengzhou, soprannominato iPhone City, sulle spedizioni in vista dello scorso Natale.

Ma anche i funzionari del Partito comunista mantengono con lui un rapporto stretto, nella speranza di evitare una migrazione di Foxconn. Gou ha recentemente palesato la necessità di diversificare la produzione e ha predisposto grandi progetti di investimento in India. Ma allo stesso tempo ha affittato un nuovo terreno di 293 acri nello Henan.

NON È LA PRIMA VOLTA che Gou tenta la scalata politica. Nel 2019, dopo aver ricevuto il placet di Trump in vista del voto del gennaio 2020, è stato sconfitto alle primarie del Gmd dal populista Han Kuo-yu. Un errore che il partito non si è mai perdonato.

Dopo aver chiesto «agli dei» un segnale dai templi di Banqiao (Nuova Taipei), Gou ha deciso di riprovarci. L’annuncio arriva in un momento cruciale per il principale partito d’opposizione. Domani rientra da Shanghai l’ex presidente Ma Ying-jeou, che spinge per la nomina dell’ex poliziotto Hou Yu-ih.

Il presidente del partito, Eric Chu, coltiva ancora la speranza di provarci lui. Dalla spaccatura potrebbe emergere una figura di compromesso, anche perché stavolta non ci saranno le primarie e il nome sarà individuato da un comitato interno. Tutto da verificare è il gradimento dell’opinione pubblica taiwanese, che sembra invece preferire Hou.

GOU HA GARANTITO che anche qualora non fosse scelto, sosterrebbe il candidato del Gmd. Un sospiro di sollievo per il partito, visto che sta emergendo un terzo contendente potenzialmente più serio di quelli del passato, l’ex sindaco di Taipei Ko Wen-je.

«Il Dpp vuole la guerra, il Gmd è troppo deferente a Pechino», ha dichiarato Ko. Sabato, manco a dirlo, partirà pure lui per gli Usa.