Gor’kij, violenta iniziazione a un mondo ferino,  fondato sull’avidità
Valentin Serov, Ritratto di Maksim Gor'kij, 1904
Alias Domenica

Gor’kij, violenta iniziazione a un mondo ferino, fondato sull’avidità

Scrittori russi Primo romanzo di una trilogia, «Infanzia» è il racconto autobiografico del declino di una famiglia, restituito attraverso un espressivo impianto drammaturgico: nuova traduzione Feltrinelli, nella UE
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 19 giugno 2022

Nel pubblicare nel 1928 la versione italiana di Infanzia di Maksim Gor’kij il curatore, Cesare Castelli, notava: «Il grande scrittore russo ci aveva già descritta in altre opere la travagliata sua esistenza. Solo intorno alla sua famiglia, intorno all’ambiente in cui aveva trascorso i suoi primi anni, aveva finora taciuto». La traduzione era già stata pubblicata dalle edizioni dell’«Avanti» qualche anno prima, nel 1921, e le numerose ristampe testimoniavano della grandissima fortuna di cui l’opera dello scrittore russo godeva all’epoca nel nostro paese, anche grazie al suo lungo soggiorno a Capri – dal 1906 al 1913 – dove accanto alla sua feconda attività letteraria, partecipò anche alla vita culturale e politica.

Come testimoniano, ad esempio, il sodalizio con Aleksandr Bogdanov e la celebre «Scuola di Capri», Maksim Gor’kij si affermò come uno degli autori più tradotti e popolari in Italia, anche per il teatro, che accanto a quello di Chechov e Andreev fu responsabile del forte interesse del pubblico italiano per la drammaturgia russa. Allo stesso tempo, la traduzione del romanzo La madre, che sarebbe diventato uno dei modelli del realismo socialista, rese assai popolare Gor’kij tra i lettori di ispirazione socialista e non solo.

Ascesa, eclissi

Curiosamente, anche per effetto della lunga permanenza a Sorrento, già dopo la rivoluzione bolscevica, negli anni 1924-1933, l’opera di Gor’kij rimase assai popolare anche in epoca fascista. Nel secondo dopoguerra, gli Editori Riuniti pubblicarono una raccolta delle opere dello scrittore in 20 volumi, a suggellarne il carattere di vero e proprio classico della letteratura sovietica. Fu proprio questo suo riconoscimento a segnare anche il declino di interesse di Gor’kij, ovviamente a causa dalla parabola che la sua opera aveva conosciuto in Unione Sovietica. Dove, quando tornò definitivamente nel 1933, fu celebrato come il padre della nuova letteratura e il modello su cui costruire il nuovo canone del realismo socialista sotto l’opprimente controllo del partito e di Stalin in persona, come risultò evidente in occasione del primo congresso degli scrittori sovietici del 1934.

Gor’kij rimase prigioniero di alcune sue scelte di campo, di molte opacità e di sofferte decisioni, tanto da trovarsi nella condizione di venire ricattato dal potere che probabilmente, come risultò poi dagli studi intrapresi dopo il crollo dell’Urss, decretò la sua morte per farne, a posteriori, uno dei miti più fulgidi del trionfalismo culturale sovietico. La figura di Gor’kij, dunque, seguì in qualche modo i destini del potere politico che ne aveva creato il mito, e non senza alcuni momenti di corresponsabilità. Per questo motivo nel secondo dopoguerra, specie per il crescente interesse per l’«altra letteratura», tra disgelo e samizdat, l’opera di Gor’kij si trasformò in un ingombrante monumento di cui sembrava necessario liberarsi.

Eppure, all’apertura degli archivi sovietici, molte cose vennero chiarite: già al tempo della rivoluzione del 1917 con i suoi Pensieri intempestivi (opera al bando in Unione Sovietica e proposta in italiano da Jaca Book nel 1978) Gor’kij aveva mostrato evidenti dissensi nei confronti di Lenin e della rivoluzione; lo stesso secondo soggiorno italiano a Sorrento, certo motivato da problemi di salute, sottintendeva comunque l’aspirazione a mantenere per sé un certo margine di libertà d’azione. Proprio in questo periodo, come peraltro anche nel precedente esilio, quello degli anni 1906-1913 a Capri, Gor’kij agì da elemento catalizzatore per scrittori e uomini politici, e – fin dagli anni della prima rivoluzione del 1905, e poi dell’Ottobre – aveva fatto pressioni con abnegazione e coraggio presso il potere zarista prima e quello comunista poi a favore di molti scrittori e intellettuali perseguitati.

Cosa rimane oggi di Gor’kij? Una coerente e corretta ricostruzione della storia letteraria europea non potrebbe trascurare il retaggio della sua opera. Bastano a confermarlo i suoi Ricordi su Lev Tolstoj e il romanzo incompiuto La vita di Klim Samgin, di cui non a caso Vittorio Strada a più riprese sottolineò l’importanza per il Dottor Živago di Pasternak. Ma sono i libri autobiografici che oggi meritano di essere riscoperti e rivalutati: in Infanzia, che ora esce da Feltrinelli nella bellissima traduzione di Emanuela Guercetti (con introduzione di Erika Klein, pp. 336, € 12,00) e che costituisce la prima parte della trilogia – le altre due sono Tra la gente e Le mie università – Gor’kij racconta la propria vita con crudezza e senza remore: dalla sepoltura del padre durante la quale venne colpito dal destino di alcune rane invischiate e sepolte nella terra che andava ricoprendo la bara, al viaggio in battello lungo la Volga, fino all’arrivo a Nižnij Novgorod e alla vita presso la famiglia del nonno Vasilij Kaširin, padrone di una ricca tintoria. Qui il giovane Aleksej Peškov (questo il suo vero nome) entrò in contatto con un mondo lupesco, ferino, fondato sull’avidità e la violenza, nel quale si erge la figura sinistra del nonno che gestiva con pugno di ferro l’attività dell’impresa.

La trama si concentra sui contrasti con i due figli, gli zii Jakov e Michail, per il possesso della tintoria: Gor’kij traccia a fosche tinte la traiettoria del declino della famiglia, i conflitti e i fallimenti, illuminando invece le figure della madre, vittima del dispotico potere del nonno e della bassezza morale dei fratelli. Unica vera luce nel tetro mondo di Infanzia, la nonna Akulina, che fu non soltanto un riferimento affettivo e spirituale, ma grazie al suo stretto legame con le più profonde e genuine radici della cultura popolare russa incarnò anche una inestinguibile fonte di ispirazione poetica per il futuro scrittore. Proprio questo sostrato popolare, insieme alla presenza di un sentimento di oppressione per le inusitate violenze e bassezze subite, infondono al romanzo una prospettiva di redenzione. Il personaggio di Ivan-Cyganok (Zingarello), vittima innocente della crudeltà degli zii di Aleksej, è l’incarnazione della profonda speranza che Gor’kij nutriva per il popolo russo. Alla fine della sua drammatica esperienza Aleksej lascerà il suo «nido» per andare «tra la gente».

Descrizioni e psicologia

Infanzia ha il respiro della tragedia e la forza di un testo di denuncia: è costruito su un impianto esplicitamente drammaturgico e gode di descrizioni legate al dettaglio e allo stesso tempo attente alla sensibilità psicologica del protagonista. La letterarietà del libro, insieme ai suoi tratti sperimentali, allontanano l’opera dai modelli del puro realismo descrittivo.

A lungo si è dibattuto sulla veridicità delle linee autobiografiche proposte da Gor’kij, sulla sua immagine di scrittore autodidatta e nato dal popolo. È probabile che molto di ciò nascesse dal suo desiderio di costruire una specifica immagine mitopoietica di sé stesso; certo è che Infanzia viene recepito come un testo profondamente obiettivo e allo stesso tempo come un affresco espressivo e fiabesco che offre una nuova variante sperimentale e originale del genere autobiografico.

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