Nei primi anni Trenta dello scorso secolo, a una affollata riunione conviviale Witold Gombrowicz, sedutosi al pianoforte, eseguì un pezzo che presentò come musica sperimentale «contemporanea». Sollecitato dalla muta ammirazione degli astanti, avrebbe poi confessato di avere mosso le dita sulla tastiera a caso, essendo le sue capacità di pianista più che limitate. Il suo scopo era dimostrare lo snobismo della «buona società» di Varsavia, sempre pronta a farsi ingannare da chiunque sapesse manipolare con intelligenza forme e apparenze. A novanta anni dalla loro uscita, i racconti contenuti nella raccolta Memorie del periodo della maturazione, ora riproposti insieme ad alcuni, successivi, dal Saggiatore, con il titolo Bacacay Tutti i racconti (a cura di Francesco Maria Cataluccio e nella accurata traduzione di Alessandro Amenta e Dario Prola, pp. 354, € 27,00), possono suggerire un analogo procedimento di mistificazione, questa volta nel campo a Gombrowicz più congeniale, la letteratura. Scritti all’inizio degli anni Trenta, questi racconti non erano il suo primo tentativo di dare vita a una narrativa fortemente soggettiva, tuttavia il precedente progetto di scrivere, a quattro mani con l’amico Tomasz Kępiński, un «romanzo per cuoche» che coniugasse grafomania e bello stile era, poco sorprendentemente, naufragato. Riusciti invece gli apparvero i racconti che, fin dal titolo, tentavano di sviare il lettore, convincendolo che fossero l’esito di un autore sostanzialmente (ma volutamente) «immaturo».

In realtà, Gombrowicz aveva le idee estremamente chiare. Scrivendo all’amico Kępiński, parlò della raccolta come di «un’eccellente opera intellettuale» che fra l’altro affrontava «il problema della razza, visto con gli occhi di un uomo totalmente privo di razza» (si riferiva al racconto Il diario di Stefan Czarniecki), così come quello della vita «dalla prospettiva di un uomo scevro di istinti vitali» (in Il ballerino dell’avvocato Kraykowski). I racconti, insomma, avrebbero dato forma a «un volo sulle ali di associazioni verbali», che tuttavia Gombrowicz temeva risultasse criptico e al quale appose dunque una prefazione, poi rimossa dalla edizione definitiva, dove si premurava di spiegare di che cosa si trattasse. Chiariva, per esempio, come alla base del racconto Un delitto premeditato avesse concepito il principio della autocreazione dell’uomo sulla base del suo dipendere dagli altri, mentre il senso della novella Il banchetto della contessa Frumiga fosse quello di dimostrare come la fame e le sofferenze del povero Bolek Cavolfiore servissero a conferire gusto alla pietanza di verdura consumata dagli aristocratici. Gombrowicz poneva un’avvertenza: non avrebbe avuto senso cercare nei racconti qualche simbolismo, dal momento che essi non contenevano niente altro se non libere associazioni. Per Gombrowicz, il libro avrebbe dovuto rappresentare «un viaggio alla fine dell’immaturità e dell’inadeguatezza», costituendosi come un gioco esclusivamente verbale.

Nelle sue conversazioni con Dominique De Roux, contenute in Testamento, Gombrowicz avrebbe confessato, come ricorda Cataluccio nella postfazione: «a quel tempo non conoscevo né Joyce né Kafka […] e di Freud sapevo poco o niente. Se qua e là ho captato qualcosa di queste ispirazioni è solo perché erano già nell’aria, nei discorsi o nelle barzellette». E rivendicava la paternità dell’apparato formale delle Memorie, «in gran parte di mia invenzione». Questo ostentato carattere primigenio delle novelle di fatto lascia adito a qualche dubbio. Quanto ai debiti  letterari – per esempio – chi si accosti al racconto Delitto premeditato è facilmente in grado di riconoscere quanto le discussioni tra il giudice e il figlio rimandino agli interrogatori di Raskol’nikov da parte di Porfirij Petrovič in Delitto e castigo. Lo stesso autore, del resto, lo rende esplicito, mettendo in bocca al giudice un «come dice Dostoevskij». E se il protagonista del racconto il Ballerino dell’avvocato Kraykowski soffre di epilessia, non è escluso che lo debba a qualche genere di relazione col principe Myškin e il suo creatore.

Il volo sulle ali di associazioni verbali si rivela quindi un fitto intreccio di segni metatestuali, cui nemmeno la psicoanalisi resta estranea. La protagonista di Verginità, Alicja, si lamenta per essere precipitata in un inferno semiotico: «Non si riesce mai a sapere nulla […] sono circondata da simboli e favolette, come se tutti complottassero contro di me». Le fa eco il suo virginale spasimante, Paweł: «può darsi che esista un intero codice di segni convenuti di cui io […] non so nulla». Ne sa qualcosa l’autore, e sembra sia quanto basta. La libido della illibata Alicja viene risvegliata da un vagabondo che la colpisce con un pezzo di mattone. Ormai priva di freni inibitori, la fanciulla infrange il tabù del furto, impadronendosi di un cucchiaino d’argento che si infila lascivamente nella manica, più o meno come – nella novella Il ratto – il libidinoso topo con cui l’ex giudice ha torturato il bandito Uligano si introduce furtivamente nella gamba dei calzoni del vitalissimo fuorilegge. Alicja cerca poi di «rimuovere» la sconvenienza sociale, seppellendola nel subconscio: «[…] si comportano in maniera gentile ma, quando rimangono da soli, gli uomini lanciano pietre contro le donne e le donne sorridono, perché provano dolore. E poi rubano… Non ho forse rubato io stessa un cucchiaino d’argento, sotterrandolo in giardino, perché non sapevo che farmene»?

La trama dei rimandi intertestuali si infittisce negli Eventi accaduti sul brigantino Banbury. Il protagonista sbaglia imbarco, e invece di salire sul Berenice, sale sul Banbury. Un lapsus? Letterario, con ogni probabilità. La critica polacca aveva ravvisato nel Patna, il piroscafo abbandonato da Lord Jim nell’imminenza del suo supposto naufragio, un travisamento (inconscio?) del nome Polska a opera di Józef Konrad Korzeniowski, che aveva lasciato il paese sul punto di affondare tra i flutti della storia. Qui, il cambio di nome del brigantino, dal femminile Berenice al maschile Banbury, scatena conseguenze di tipo psicoanalitico: l’equipaggio è vittima di nevrosi compulsive (lava incessantemente il ponte) ed è dedito a pratiche feticistiche, immerso nella contemplazione dei propri piedi. Quando non è chiuso sottocoperta per  volontà del capitano, deciso a non far emergere il brusio del subconscio, latore di pulsioni parricide. E non può essere un caso che i marinai intonino «vecchi motivetti del 1897», che è l’anno in cui escono gli Studies on the Psychology of Sex di Havelock Ellis, il primo compendio scientifico di psicologia sessuale, lo studio sul suicidio di Emile Durkheim e soprattutto è l’anno della importante svolta nel pensiero di Freud, relativa al «trauma psichico». Forse Gombrowicz aveva sentito parlare dell’inventore della psicoanalisi solo nelle barzellette, ma sembra allora che i suoi personaggi ne sapessero decisamente più di lui. E forse i marinai del Banbury non si stavano ammutinando contro l’autorità del capitano, bensì contro quella dell’autore.