In Turchia, ancora una volta, la strada dello sciopero della fame a oltranza è l’unico metodo per farsi sentire. Gokhan e Sibel, circa 300 giorni fa, hanno deciso di utilizzare i loro corpi, mettendo a rischio le loro vite, per avere un processo giusto.

Gokhan Yildirim ha 35 anni, è stato arrestato nel 2016 e condannato a 46 anni di carcere con l’accusa di «appartenenza a organizzazione terroristica, violazione di domicilio, possesso di armi senza licenza e falsificazione di atti ufficiali».

I SUOI AVVOCATI sostengono di aver dimostrato, in varie udienze del processo, che nei giorni indicati nelle carte Gokhan non si trovasse sui luoghi del reato, che le dichiarazioni rilasciate dai testimoni anonimi siano state verbalizzate sotto la minaccia della polizia e che una serie di documenti non inerenti al processo siano stati inseriti per creare il capo d’imputazione. Infine 16 testimoni anonimi su 17, durante il processo hanno dichiarato di non aver mai conosciuto Gokhan Yildirim.

Ad agosto, in una conferenza stampa, al 222esimo giorno dello sciopero di Gokhan, i dirigenti dell’Unione dei Medici di Turchia specificavano che le sue condizioni di salute erano fortemente precarie e aveva perso 20 chili.

Forse per questo, il 6 settembre, il collegio dei giudici ne ha ordinato la scarcerazione temporanea, qualche giorno prima il ricovero d’urgenza all’ospedale statale di Tekirdag. Oggi Gokhan porta avanti, a casa sua, con la polizia appena fuori dalla porta, lo sciopero della fame convertito in quello della morte e pretende che sia riesaminato il suo caso.

«NON POSSIAMO vincere senza resistere. Ho sempre detto che la morte è semplice e io non voglio morire ma voglio un processo giusto», sono le parole di Gokhan pronunciate con una notevole difficoltà nella breve conferenza stampa, il giorno dopo la scarcerazione.

Sibel Balaç lavorava come insegnante di sostegno e nel 2018, per via del mobbing subito sul posto di lavoro, si è licenziata. Lo stesso anno ha iniziato a partecipare al presidio permanente di protesta contro i licenziamenti di impiegati pubblici, insegnanti e professori durante lo stato d’emergenza dal 2016 al 2018 tramite i decreti di legge emessi dal presidente della Repubblica. Concluso il periodo dello stato d’emergenza quei decreti erano stati convertiti in legge e alle persone colpite non è stato riconosciuto il diritto al ricorso.

Proprio in quel periodo, nel dicembre 2018, Sibel è stata arrestata e poi condannata a otto anni di carcere. I suoi legali sostengono che le accuse siano state giustificate dai giudici con una serie di documenti digitali che non hanno mai fatto parte delle carte del processo e non sono mai stati condivisi con loro.

NONOSTANTE il ricorso sia ancora in coda per la valutazione della Corte costituzionale, Sibel è stata condannata con un processo molto veloce.

Nei primi 230 giorni dello sciopero Sibel ha perso 39 chili ed erano evidenti forti peggioramenti nella sua salute. Il 9 settembre è stata ricoverata in ospedale e dopo 16 giorni è stata riportata in carcere. Gli avvocati, i compagni e i familiari ne chiedono l’immediata scarcerazione e un processo giusto.

In Turchia ormai sono sempre più diffusi processi pieni di prove inesistenti o condanne basate solo sulle dichiarazioni dei testimoni anonimi.

Il caso storico di Pinar Selek, il processo dei membri del gruppo musicale Grup Yorum e anche l’esperienza giuridica di Ebru Timtik sono solo alcuni esempi di come la magistratura sia diventata un’arma del potere esecutivo. Spesso letale: per protestare alcuni imputati hanno deciso di usare i loro corpi e queste scelte purtroppo in vari casi si sono concluse con la morte degli scioperanti.

L’ENORME PROBLEMA legato al malfunzionamento del sistema giuridico è stato riconosciuto anche da Zühtü Arslan, il presidente della Corte costituzionale turca. Arslan, in un intervento pubblico nel gennaio scorso, ha detto: «Abbiamo un importante problema legato al giusto processo». Solo nel 2021, la stessa Corte aveva verificato che nel 62,5% dei ricorsi si trattava di un errore legato al «giusto processo».

Anche per la Corte europea per i diritti dell’uomo in Turchia c’è un grande problema legato al funzionamento del sistema giuridico. Solo nel 2020 la Cedu ha stabilito che in 85 processi portati al suo ufficio, provenienti dalla Turchia, c’erano evidenti problemi legati al giusto processo.

In diverse parti del mondo, in questi mesi, sono stati organizzati vari eventi di solidarietà con Sibel e Gokhan esattamente come succede anche in Italia a Lecce, grazie al Coordinamento per la Liberazione di Sibel e Gokhan.