Il 15 maggio del 1972, l’arcipelago delle isole Ryukyu, di cui Okinawa è l’isola principale, viene restituito alla sovranità giapponese, dopo esser stato governato nel periodo post bellico per più di due decenni dagli Stati uniti. Questo anniversario si è rivelato importante occasione per riflettere sullo stato delle cose nell’arcipelago, passato presente e futuro di un territorio e di una popolazione da troppo tempo in balia dei grandi giochi geopolitici presenti in estremo oriente. Un sondaggio condotto dall’agenzia giapponese Kyodo nelle settimane scorse, ha rilevato che il cinquantacinque per cento dein residenti nella prefettura di Okinawa non è soddisfatto di come si sono sviluppate le cose da quel lontano 15 maggio di cinquanta anni fa. L’insoddisfazione deriva da molteplici motivi, tra i più controversi e sentiti è sicuramente la presenza, ingombrante e violenta, delle basi americane, ancora oggi motivo di un contenzioso fra governo Giapponese da una parte e popolazione e parte dei politici di Okinawa dall’altra. Questa è solo la punta dell’iceberg, più in generale è molto forte la sensazione che l’arcipelago Ryukyu sia sfruttato e spesso dimenticato dal governo centrale di Tokyo per la sua posizione geografica.

IL CINEMA GIAPPONESE di questi ultimi cinquant’anni, come la letteratura e tutte le altre arti, ha naturalmente riflesso su questa complessa situazione storica nei modi più diversi, da documentari, a grandi produzioni, da film indipendenti a cinema sperimentale.
Un posto speciale in questa lista, in quanto rappresenta una voce dal di dentro, spetta a Go Takamine, autore originario dell’isola di Ishigaki nella prefettura di Okinawa e che nel corso della sua lunga carriera, comincia a realizzare cortometraggi in 8mm quando si trasferisce a Kyoto per studiare, ha saputo catturare più di qualunque altro cineasta le tensioni e le difficoltà che hanno attraversato e plasmato il territorio e la popolazione di Okinawa. A partire dal documentario/road movie Okinawa Dream Show realizzato nel 1974, opera che cattura il paesaggio e la vita quotidiana nell’isola dopo il ritorno alla sovranità giapponese, e lo fa in modo poetico e senza una vera e propria narrazione, fortemente ispirato a Reminiscences of a Journey to Lithuania che Jonas Mekas realizzò due anni prima. Takamine gira il suo primo lungometraggio di finzione nel 1985, Paradise View, film ambientato nel periodo che precede il passaggio di Okinawa al Giappone e la cui narrazione principale ruota attorno ai preparativi di un matrimonio fra una ragazza di Okinawa e un insegnante giapponese.

EVIDENTE  la metafora della situazione del tempo, a cui si aggiungono una serie di personaggi che sembrano quasi imprigionati in un limbo identitario, «fra poco saremo tutti giapponesi, perché non ne sposi uno?» dice una madre alla figlia. Questo essere in una terra di mezzo, sia letteralmente che figurativamente, è forse il tratto distintivo del film, popolato di personaggi che sembrano vivere in uno stato di sonnambulismo non solo perché incerti di quello che li aspetterà dopo il passaggio, ma anche perché molti di essi, e in maniera parallela anche le scelte estetiche di Takamine, sono immersi nelle storie e nel folklore Ryukyu. Lungometraggio che quasi inaugura il cinema ryukyuano, il film è recitato nella quasi sua interezza nella lingua vernacolare ed è impreziosito dalla presenza di attori del luogo e da alcuni volti popolari nella scena pop giapponese del tempo fra cui Haruomi Hosono, musicista e membro della Yellow Magic Orchestra che realizzò anche la colonna sonora del film, nella parte dell’insegnante.

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