Gli Usa spingono il Sudan alla fame a normalizzare i rapporti con Israele
Khartoum Ieri nuova esortazione del segretario di stato Pompeo al paese africano indicato come il prossimo Stato che avvierà rapporti diplomatici con Tel Aviv. Ma in Sudan in crisi economica non tutti sono favorevoli alla mossa.
Khartoum Ieri nuova esortazione del segretario di stato Pompeo al paese africano indicato come il prossimo Stato che avvierà rapporti diplomatici con Tel Aviv. Ma in Sudan in crisi economica non tutti sono favorevoli alla mossa.
Non c’è stata la “Marcia del milione” organizzata dai Comitati di resistenza ma ieri cortei e raduni hanno comunque bloccato Khartoum, Omdurman e altri centri abitati sudanesi. La fame, le difficili condizioni di vita, l’inflazione galoppante (200%), la penuria di carburante e altri problemi quotidiani sono stati la molla che hanno spinto migliaia di sudanesi a manifestare ancora una volta contro il governo di transizione civile/militare che l’anno scorso subentrò al regime di Omar al-Bashir. Simbolo del disastro economico del paese sono le code lunghe chilometri alle stazioni di rifornimento. Un litro di carburante costa pochissimo, circa quattro sterline sudanesi, e gli speculatori nascondono gasolio e benzina in previsione dei profitti che realizzeranno dopo l’ormai certa revoca dei sussidi governativi che tengono basso il costo alla pompa. Così il Sudan è paralizzato.
I manifestanti hanno dato alle fiamme vecchi copertoni e scandito slogan per chiedere che sia completata l’indagine sulla repressione sanguinosa delle proteste dello scorso anno. La fine dell’inchiesta si attendeva a febbraio ma gli investigatori frenano, chiedono più tempo citando gli impedimenti causati dalla pandemia. Pretesti, secondo tanti sudanesi, volti a non ultimare un’inchiesta dai risvolti scomodi per i militari al potere. A tenere alta la tensione sono anche i 15 morti di una settimana fa negli scontri tribali nel Sudan orientale dopo il licenziamento deciso dal primo ministro Abdalla Hamdok di Saleh Ammar, governatore della provincia di Kassala. Un po’ di sollievo ha portato solo il recente accordo di pace firmato dal governo di transizione con alcuni gruppi di ribelli.
In questo clima, la maggioranza dei sudanesi ieri non ha badato all’esortazione a normalizzare i rapporti con Israele giunta dal segretario di stato Mike Pompeo. Lunedì Donald Trump aveva annunciato che gli Usa cancelleranno il nome del Sudan dalla lista degli Stati che «sponsorizzano il terrorismo» – in cui fu inserito per aver ospitato Osama bin Laden – permettendogli di accedere a prestiti internazionali e (forse) di ottenere una riduzione del suo debito estero (60 miliardi di dollari), se il paese africano stabilirà piene relazioni diplomatiche con Tel Aviv come hanno fatto gli Emirati e il Bahrain. Khartoum è chiamata anche a versare 335 milioni di dollari ai sopravvissuti e alle famiglie delle vittime degli attentati di Al Qaeda in Tanzania e Kenya alla fine degli anni ’90.
Per il capo dei militari, generale Abdel Fattah al Burhan, che a inizio anno ha incontrato il premier israeliano Netanyahu, l’unica possibilità che ha il Sudan per tentare un difficile rilancio economico è sottomettersi al diktat di Washington. Una parte del governo di transizione invece esita, perché le pressioni degli Stati Uniti hanno accesso il dibattito lacerante nel paese. Alle contestazioni degli islamisti e della sinistra, si sono aggiunte quelle di una parte della società civile. E l’esecutivo teme che una mossa così importante possa sconvolgere il precario equilibrio raggiunto con i civili. Il premier Hamdok, pur essendo favorevole alla normalizzazione con Israele, ora invita alla cautela e afferma che che la questione non può essere vincolata al rapporto Sudan-Usa.
Intanto nell’opinione pubblica sudanese, soprattutto tra i giovani più istruiti, fanno breccia le promesse di Tel Aviv. Zvi Hauser, presidente della commissione per gli affari esteri della Knesset, parlando in tv ha assicurato a Khartoum il sostegno scientifico e tecnologico di Israele. Un ex deputato sudanese, Abulgasem Bartum, ha subito replicato annunciando per il mese prossimo un viaggio in Israele con 40 uomini d’affari, sportivi e personalità della cultura.
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