Rispetto della sovranità e integrità territoriale di tutti i paesi, seria considerazione delle legittime preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi, niente sanzioni né armi nucleari, richiamo ai principi della Carta delle Nazioni Unite.

Questi gli ingredienti della proposta di pace che la Cina presenterà nei prossimi giorni. Ingredienti che in realtà compongono la posizione cinese dall’inizio della guerra in Ucraina.

ALLA CONFERENZA sulla sicurezza di Monaco di Baviera, Wang Yi ha parlato di «alcune forze» che non vogliono che i negoziati abbiano successo. Persino inutile che il direttore dell’Ufficio della Commissione centrale degli Affari esteri del Partito comunista espliciti che si riferisce agli Stati uniti, a suo dire colpevoli di una reazione «assurda e isterica» di fronte alla vicenda del presunto pallone-spia.

Wang critica Washington anche sul Chips Act e le ultime restrizioni nel settore tecnologico: «Protezionismo al 100%, egoismo al 100%, azione unilaterale al 100%». Con avvertimento su Taiwan: «Ogni violazione al principio di una sola Cina rappresenta una reale minaccia per la sicurezza nello Stretto».

Insomma, per la retorica di Pechino sono gli Stati uniti che impediscono la pace in Europa orientale, rischiano di colpire la globalizzazione e di creare un secondo fronte in Asia-Pacifico. Gli europei, per ora, provano a scorgere un avvicinamento cinese alle posizioni occidentali, auspicando «pressioni» su Mosca.

MANCA UN ANELLO fondamentale: il dialogo tra Pechino e Washington. La diplomazia cinese si aspetta che sia la parte americana a chiedere il bilaterale tra Wang e Antony Blinken. Casa bianca e Dipartimento di Stato non vogliono però dare segnali di debolezza, anzi nel frattempo provano a darne di forza su Taiwan, il dossier più insidioso delle relazioni bilaterali.

Proprio negli ultimi giorni e nelle ultime ore, nuovi sviluppi nella doppia escalation diplomatica e strategica. Il Financial Times ha comunicato l’arrivo a Taipei di Michael S. Chase, vice assistente sulla Cina del segretario della difesa: si tratta dell’ufficiale del Pentagono più alto in grado a visitare Taiwan dal 2019.

Nessuna conferma da Taipei, così come sulla seconda notizia data ieri dal Financial Times, secondo cui nei prossimi giorni saranno a Washington due alti esponenti del governo taiwanese: il ministro degli esteri Joseph Wu (nella lista nera dei “secessionisti” di Pechino) e il consigliere alla sicurezza nazionale Wellington Koo.

A riceverli sarebbero i vice dei rispettivi omologhi, Jon Finer e Wendy Sherman. Incontro a porte chiuse e particolarmente delicato tanto da essere definito “segreto”. Il fatto che la notizia sia trapelata rappresenta però un nuovo possibile ostacolo alla ripresa del dialogo tra Usa e Repubblica popolare dopo la vicenda del pallone.

ALLA LUCE DEL SOLE altre due delegazioni giunte ieri a Taipei. La prima è guidata dal democratico Ro Khanna, deputato della California che ha in agenda incontri con la presidente Tsai Ing-wen e Morris Chang, fondatore del colosso dei microchip Tsmc. Obiettivi: chiudere nuovi accordi in materia di semiconduttori e creare nuove opportunità per i colossi della Silicon Valley.

La seconda delegazione arriva invece da Shanghai, città gemellata a Taipei. Guidata da Liu Xiaodong, vice capo dell’Ufficio degli Affari di Taiwan della metropoli cinese, si tratta della prima delegazione continentale dall’inizio della pandemia. Le autorità taiwanesi avrebbero chiesto alla truppa di mantenere un «basso profilo», mentre il sindaco di Taipei Chiang Wan-an ha definito il drappello «molto benvenuto».

IL GUOMINDANG, principale partito d’opposizione a Taiwan, punta d’altronde a essere identificata come forza politica garante di stabilità sullo Stretto in vista delle presidenziali del 2024. La scorsa settimana il vicepresidente del Gmd, Andrew Hsia, ha guidato una spedizione a Pechino per incontrare Wang Huning, il numero tre della gerarchia del Partito comunista incaricato da Xi Jinping di trovare un nuovo modello di “riunificazione” in superamento di “un paese, due sistemi” naufragato a Hong Kong.

Incassando un sostegno forse mai così esplicito da Pechino, che intanto dopo due settimane di calma è tornata ieri a effettuare corpose manovre militari sullo Stretto, con 15 jet oltre la “linea mediana”.