Gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer
Storia In «Eppure il vento soffia ancora» (Utet) Piero Ruzzante, con la collaborazione di Antonio Martini, ricostruisce in forma di diario ciò che accadde a Padova dal 7 all’11 giugno del 1984 quando, durante un comizio, il segretario del Pci fu colpito da un ictus che lo avrebbe condotto alla morte
Storia In «Eppure il vento soffia ancora» (Utet) Piero Ruzzante, con la collaborazione di Antonio Martini, ricostruisce in forma di diario ciò che accadde a Padova dal 7 all’11 giugno del 1984 quando, durante un comizio, il segretario del Pci fu colpito da un ictus che lo avrebbe condotto alla morte
Il libro scritto da Piero Ruzzante in collaborazione con Antonio Martini (Eppure il vento soffia ancora, Utet, pp. 236, euro 16,00) non è un nuovo saggio su Enrico Berlinguer e la sua stagione politica. È invece la cronaca minuziosa, in forma di diario, di ciò che accadde a Padova dal 7 all’11 giugno di trentasei anni fa. Berlinguer, nato a Sassari il 25 maggio 1922, fu infatti colto da ictus fatale mentre teneva un comizio in quella città nel pieno della campagna elettorale per le elezioni europee. I giorni che seguirono al 7 giugno 1984 furono quelli di una lenta agonia. L’Italia seguì commossa i bollettini medici e scoprì di avere grande rispetto per Berlinguer e la sua sobrietà politica.
QUELLA COMMOZIONE fu particolare a Padova. Lo staff medico, i dirigenti del Pci di allora, gran parte della città, i collaboratori del segretario comunista vissero ore scolpite dalla trepidazione. Ruzzante, all’epoca giovanissimo dirigente del Pci in quella città, seguì attimo per attimo ciò che avveniva. Con Martini, ha deciso con questo libro che «ci fossero ancora delle cose da dire». Dalle pagine del volume esce infatti intatta l’emozione di quei giorni con tanti episodi che rimarranno nella memoria di chi li ha vissuti, a iniziare dalle notizie sull’operazione chirurgica a cui venne sottoposto il segretario del Pci. Tutto è appuntato dagli autori del libro ora per ora fino alla partenza del feretro di Berlinguer per Roma dove si tennero indimenticabili funerali.
L’11 giugno è il giorno finale. Nel frattempo, arrivò a Padova il presidente Sandro Pertini con la famiglia del leader. In un angolo dell’ospedale, Pietro Ingrao piangeva. Il cuore di Berlinguer si fermò alle 12,51: aveva resistito 86 ore dal momento dell’ictus sul palco dove teneva il comizio elettorale. Fuori dall’ospedale di Padova una folla si raccolse subito in silenzio.
Dal 1984 sono cambiati completamente l’Italia e il mondo. Eppure l’ammirazione per il «compagno Enrico» e la nostalgia per una stagione specifica della politica italiana restano fortissime nelle generazioni che hanno vissuto in prima fila gli anni Settanta e Ottanta. Il «berliguerismo» è stato infatti un tratto specifico della sinistra italiana la cui onda è sopravvissuta fino alla «svolta» di Achille Occhetto che propose al Partito comunista il cambiamento di nome e di simbolo.
SU INDICAZIONE di Luigi Longo, Berlinguer fu eletto segretario nel 1972. Iscritto al partito fin dai primi anni Quaranta, segretario dei giovani comunisti per un lungo periodo, Berlinguer e la sua politica hanno caratterizzato la fase dei massimi successi elettorali e politici del Pci nel 1975-1976. La sua impronta personale al partito la impresse già a fine 1973, quando delineò la strategia del «compromesso storico» con tre articoli pubblicati sul settimanale Rinascita.
L’11 settembre 1973 c’era stato il golpe militare in Cile contro il governo del socialista Salvador Allende. Berlinguer ne trasse la conseguenza che in Italia sarebbe stato opportuno favorire l’incontro tra i tre filoni culturali che avevano fatto la Resistenza contro il fascismo e rappresentavano i partiti di massa più radicati nella società italiana: Dc, Pci e Psi.
Quella proposta politica si scontrò con le posizioni dei movimenti post-sessantottini ma incontrò l’interesse di Aldo Moro, dirigente di primo piano della Dc, che pensava a una «terza fase» della politica italiana: quella che avrebbe portato il Pci a una collocazione di governo. Gli esecutivi dal 1976 al 1979 votati con l’astensione del Pci (i governi delle «larghe intese») furono interrotti dal rapimento e assassinio di Moro da parte delle Brigate rosse nel 1978. In quel momento terminò pure il berlinguerismo.
Dal 1980 in poi, Berlinguer cercò di delineare una politica differente dal «compromesso storico», che lui stesso definì di «alternativa». Fu una correzione di strategia che Berlinguer compie quasi in solitudine, mentre gran parte del gruppo dirigente del Pci non era d’accordo con lui. Questa nuova strategia berlingueriana cercò di fondarsi su una nuova lettura della società italiana.
BERLINGUER condusse poi il rinnovamento culturale e politico del Pci a partire dalla «questione morale» (l’eccesso di occupazione dello spazio pubblico da parte dei partiti) fino alle Colonne d’Ercole della totale autonomia da Mosca su cui non si era avventurato nessun altro segretario del Pci.
Tutto s’interruppe improvvisamente a Padova, in quelle dannate giornate di giugno del 1984 che Ruzzante e Martini consegnano ai lettori.
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