Gli ucraini in casa? La reazione russa è «esageratamente moderata». Parla Marina Simakova
Intervista La storica ed editor della rivista di opposizione "Posle" registra la tendenza a minimizzare l'incursione nel Kursk e la "disarmata docilità" della popolazione nel suo complesso. «Per le autorità è una situazione molto diversa dall’ammutinamento di Prigozhin di un anno fa, in cui c’era un concreto scontro di potere e dunque una minaccia»
Intervista La storica ed editor della rivista di opposizione "Posle" registra la tendenza a minimizzare l'incursione nel Kursk e la "disarmata docilità" della popolazione nel suo complesso. «Per le autorità è una situazione molto diversa dall’ammutinamento di Prigozhin di un anno fa, in cui c’era un concreto scontro di potere e dunque una minaccia»
«Esageratamente moderata». Sono le parole con cui Marina Simakova – storica, accademica ed editor della rivista russa di opposizione Posle – prova a riassumere le molteplici reazioni all’interno della Federazione in merito all’incursione ucraina a Kursk, sia a livello governativo che di società civile.
Dopo una settimana di sconfinamento a sorpresa da parte delle truppe di Kiev, in tre regioni di frontiera (Bryansk e Belgorod oltre a Kursk) è stato dichiarato uno «stato di emergenza», le autorità hanno indicato un numero di sfollati che è superiore alle 120mila persone e gli sviluppi dei combattimenti rimangono ancora incerti.
Ne abbiamo parlato con Simakova, espatriata in seguito all’inizio dell’invasione e dunque con un punto di vista in un certo senso “esterno” agli eventi ma comunque radicato nell’osservazione costante delle evoluzioni della società russa da due anni a questa parte.
L’incursione a Kursk ha messo il governo russo e una parte della popolazione in una posizione inedita. Qual è l’atteggiamento prevalente nel paese?
Dalle risposte ufficiali, dai report giornalistici e dall’osservazione delle discussioni che avvengono sui social (sia in ambienti favorevoli alla guerra che contrari), mi sembra che la tendenza preponderante sia quella di minimizzare gli eventi. Persino Margarita Simonyan, propagandista che in televisione spesso interpreta in senso aggressivo l’«umore spontaneo del cittadino medio», ha semplicemente affermato che intende «pregare per i residenti di Kursk», senza invocare chissà quale risposta.
Similmente, molte delle figure più patriottiche ed estremiste non stanno facendo granché appello a una mobilitazione in senso nazionalista ma, anzi, spesso considerano lo sconfinamento dell’esercito ucraino come qualcosa di “poco serio”, un fatto di scarsa gravità. Credo che qui giochi anche quell’elemento di “mitologia storiografica” che salda gli eventi di oggi con il passato – magari gli eventi legati proprio alla regione di Kursk nella seconda guerra mondiale – e associa all’armata russa un’idea di eterna grandezza, si ritiene cioè che non possa mai fallire. Se poi osserviamo il discorso delle autorità, è interessante notare che ci si riferisce alle forze armate ucraine in territorio russo quasi sempre in maniera generica come «militanti» o «combattenti» (boeviki), quasi a non voler riconoscere alcuna soggettività e autonomia all’esercito ucraino.
Pure se consideriamo i civili che stanno subendo le conseguenze dirette dell’incursione, sembra prevalere un certo fatalismo di fondo. Non si vedono particolari espressioni di rabbia, c’è magari insoddisfazione ma è come se comunque i cittadini della regione non si aspettino più di tanto da parte delle autorità. Di fatto si tratta di quell’atteggiamento di “disarmata docilità” che la popolazione nel suo complesso ha mantenuto dall’inizio dell’invasione in avanti. Una forma di supporto passivo per il governo, verso il quale però non c’è né eccessiva fiducia né grande trasporto emozionale.
Pensi che il governo cercherà di mantenere questa sostanziale apatia?
Sì, anche perché credo che il governo per ora non consideri l’operazione a Kursk una minaccia reale. Dal punto di vista delle autorità è una situazione molto diversa dall’ammutinamento di Prigozhin di un anno fa, in cui c’era un concreto scontro di potere e dunque una minaccia. Dunque la volontà sarà quella di continuare a minimizzare gli eventi, anche a costo di controllare maggiormente e mettere alla prova i sostenitori attivi della guerra: un fatto interessante degli ultimi giorni è rappresentato dall’inserimento nella lista degli “agenti stranieri” di due canali di propaganda pro-guerra, Brief (gestito dalla giornalista Ekaterina Vinokurova) e Nezygar.
Ma in generale: penso che i “grandi eventi inaspettati” come l’incursione a Kursk, la ribellione di Prigozhin o l’attentato al Crocus City Hall poco incidano sulla società e ci fanno perdere di vista il quadro più ampio dell’economia di guerra, che influisce sulle dinamiche occupazionali, e dell’isolamento internazionale, che agisce sui rapporti quotidiani. È qui che, forse, l’atteggiamento della popolazione potrà mutare.
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